2 maggio 2018 - 20:45

La «comune» degli Equipe84 che ospitò Allen Ginsberg, Keith Richards e Jimi Hendrix «con i suoi spinelli enormi»

50 anni dopo, Maurizio Vandelli torna nella villa liberty di via Bodoni a Milano, rifugio di artisti e musicisti

di Antonio Castaldo

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Tornare nella casa dove si è stati giovani e famosi. Aprire quel portone dietro cui si nascondevano decine di ragazzine in adorante attesa. E in fondo a due sole rampe di scale, ritrovarsi col fiatone, a ripensare ai cinquant’anni passati e a quel 1968 in una villa liberty dalle statue in giardino, le vetrate colorate e i timpani fioriti sulle finestre: la prima comune rock‘n’roll di Milano.

Qualche giorno fa, Maurizio Vandelli ha rimesso piede nella casa di via Bodoni, tra il Portello e Monteceneri, che ospitò rockstar e celebrità dell’underground mondiale. Ad aspettarlo sulla soglia, una emozionata Rossella Montagnani, figlia del senatore del Pci Piero, partigiano e padre costituente, proprietario dell’appartamento all’epoca preso in fitto dall’Equipe 84. «Ti ricordi di me?», sussurra la signora, oggi titolare di una farmacia poco distante dall’abitazione di famiglia: «E secondo te dopo 50 anni come faccio?», risponde il re del beat all’italiana, che oggi ha 74 anni, con il sorriso smorzato dall’affanno.

Il tempo è passato con la forza di uno schiacciasassi, lasciando per strada pochi ricordi brillanti come pietre preziose. È l’emozione, forse più della fatica, a tagliare il fiato. Tra il 1965 e il ‘70, Vandelli indossava giacche colorate e un casco di capelli biondi e ricci. Rossella Montagnani era invece iscritta a Farmacia, una ragazza compita e studiosa. Si incrociavano di sfuggita, quando lei usciva per andare a lezione e lui tornava a casa reduce da una notte da rockstar. «Non si può dire che fossimo amici ma certo eravamo entrambi ragazzi. E l’Equipe 84 era una band eccezionale. Per noi averli come inquilini, al primo piano, era un onore».

La farmacista illustra la storia della sua spettacolare casa sfogliando l’album che alterna gli articoli del papà pubblicati da l’Unità e i poster dell’Equipe 84, in una divertente successione di paginate plumbee e sgargianti servizi fotografici. La dottoressa Montagnani conserva ad esempio un ampio reportage sulla villa di via Bodoni pubblicato nel 1966 dalla rivista Ciao amici, con foto di Uliano Lucas. E assieme ai vari Vandelli, Victor Sogliani, Alfio Cantarella e Franco Ceccarelli, componenti della band, compare un Francesco Guccini irriconoscibile senza barbone. «Ma è solo uno dei tanti artisti e musicisti che ospitammo in quegli anni», aggiunge Vandelli. Che poi, indicando la porta, continua il racconto: «La tenevamo sempre aperta. E negli anni è entrato chiunque. Dicevano semplicemente: permesso. O meglio ancora: sorry. E si suonava, si parlava, si conosceva gente, ci divertivamo».

Vandelli ricorda alcuni nomi, tra i tanti: «Georgie Fame, ad esempio, quello de “La ballata di Bonny e Clyde”. Oppure un signore con la barba che si chiamava Allen Ginsberg, la fotomodella Donyale Luna, con cui ebbi una storia, o almeno ci provai. Qui c’è stato Jerry Malanga, fotografo e manager di Andy Warhol, e fu lui a farmi parlare al telefono con Lou Reed. E qui mi chiamò un giorno un avvocato: Maurizio sei seduto? Hanno arrestato Alfio. Gli hanno trovato dell’hashish». Vandelli non ricorda tutti i nomi. Ma la leggenda della villa liberty annovera tanti altri personaggi altisonanti, ospiti di un giorno, una settimana, un mese: Keith Richards, Anita Pallenberg, forse lo stesso Andy Warhol. Poi un giorno a via Bodoni arrivò Jimi Hendrix: «Ebbe una storia con una ragazza di nome Ines, che se non ricordo male, al tempo era fidanzata con Victor. Forse oggi ci si scandalizza, però era il ’68, era tutto più facile e sorridente. C’era un sacco di amicizia. Volava nell’aria».

La tournée dei Jimi Hendrix Experience, l’unica in Italia nella fulminante esistenza del genio della chitarra, era cominciata soltanto il giorno prima, 23 maggio 1968, con il primo concerto milanese al Piper del parco Sempione. Fatti raccontati con il gusto del dettaglio da «Hendrix ’68 – The Italian Experience» (Jaca Book), recente libro di Enzo Gentile e Roberto Crema. I due autori sono andati a scovare la famosa Ines, 50 anni dopo: «Ci siamo presentati, poi siamo finiti a casa e lì è rimasto tutta la notte». Quindi una sola, lunga notte. Che nei ricordi di Maurizio Vandelli si estende abbracciando l’arco di 4 o 5 giornate. «Jimi si faceva delle canne lunghe così. Le facevamo rullare a lui, noi eravamo abituati al lambrusco». Vandelli ci concede un altro sorriso, ma con un velo di malinconia. Col tempo ci si abitua a tutto, e anche la libertà diventa un peso. «All’inizio degli anni Settanta cambiai domicilio, andai a vivere a Brera con la mia fidanzata. C’era stata piazza Fontana, l’atmosfera non era più così elettrica e felice. Cominciai a vivere quegli anni con maggiore profondità». Da allora non è più tornato a via Bodoni, e non conserva neppure una foto di quegli anni gloriosi. Solo tanti ricordi. Da qualche giorno però si è procurato il numero di telefono di una ragazza timida, con gli occhiali e i libri sotto al braccio, che incontrava spesso la mattina quando rincasava, e lei usciva per andare all’università. Chissà che non la chiami, un giorno o l’altro

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