21 maggio 2018 - 15:12

Napoli, città lavagna usata dai clan per i messaggi di morte contro pentiti e familiari

Da alcuni giorni c’è un intero quartiere di Napoli imbrattato e tappezzato da scritte dei clan emergenti della zona: nel mirino ci sono i “pentiti” e i loro familiari.

di Amalia De Simone

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Una città usata spudoratamente come lavagna dai clan per i loro messaggi di morte. Scritte e codici per marcare il territorio, per far capire chi comanda in città. La camorra lo fa da tempo ma da alcuni giorni c’è un intero quartiere di Napoli imbrattato e tappezzato da scritte dei clan emergenti della zona: nel mirino ci sono i «pentiti» e i loro familiari.
L’area è quella a Nord della città e in particolare il quartiere di Miano. Da via Janfolla, un’arteria importante per il collegamento tra la zona degli ospedali cittadini e una serie di quartieri come Piscinola, Chiaiano, Scampia e Secondigliano, quasi tutti i muri dei palazzi sono coperti da scritte in rosso e in nero contro i collaboratori di giustizia del clan Lo Russo: «Pentiti a vita», «Pentiti cornuti» con la parola pentito usata come una offesa, «ZTL Lo Russo», cioè zona a traffico limitato per il clan, come se non potessero più circolare e ancora «cornuti» oppure 32 cornuti (il numero della smorfia che corrisponde al capitone, soprannome di quello che è stato uno dei più potenti clan di Napoli).

E’ una processione di intimidazioni che non possono non essere viste, semplicemente perché sono ovunque e in particolare in prossimità di alcuni palazzi dove vivono ancora familiari di esponenti del clan Lo Russo. Le scritte sono comparse da qualche settimana prima su una parete, poi dal lato opposto , poi su un incrocio ma da un paio di giorni non c’è muro che non sia imbrattato da segni stilizzati, insulti e minacce. Evidentemente i gruppi criminali che vogliono farsi strada dopo gli arresti ai danni del potente clan egemone nella zona e per un periodo in grande espansione anche in altre zone della città tanto da ingaggiare faide con esponenti del rione Sanità e colonizzare con i suoi business anche la zona cosiddetta «bene» di Napoli.

Solo pochi giorni fa la Dia ha eseguito un’operazione ai danni del clan arrestando anche due noti medici che avrebbero favorito la cosca nel reinvestimento di denaro sporco in attività di ristorazione. Secondo fonti investigative le famiglie che sgomitano per la «cacciata» definitiva del Lo Russo e prendere il loro posto potrebbero essere quelli riconducibili ai Nappiello o alle compagini derivanti da questo gruppo e cioè i Cifrone con i Balzano e gli Scappellini oppure addirittura i clan egemoni a Chiaiano e cioè gli Stabile-Ferraro. Sta di fatto che i Lorusso dopo i 43 arresti dello scorso anno, il sequestro dell’arsenale ma soprattutto la decisione dei suoi esponenti di punta i boss Salvatore, Mario e infine anche Carlo Lo Russo di collaborare con la giustizia, hanno subito un colpo durissimo. Dopo di loro anche altri gregari del clan hanno seguito la loro scelta.

Un clan capace di fatturare milioni di euro in droga ed estorsioni e addirittura di appaltare i suoi killer ad altri gruppi criminali di fatto chiude i battenti e lascia campo libero a vari gruppi scissionisti con sete di vendetta e di conquista con il pericolo che possano scoppiare nuove faide. Che ci sia un tentativo di intimidire familiari e il resto dei fedelissimi della famiglia di Miano è testimoniato anche da un episodio ai danni di una donna incensurata ma parente stretta proprio di Carlo Lorusso: nel quartiere dicono che lei trovò l’auto completamente imbrattata da scritte.

Non è la prima volta che i clan si fronteggiano a colpi di messaggi sui muri. Lo hanno fatto nel centro storico per anni le paranze dei bambini e dei capelloni che addirittura imbrattarono, all’indomani di una sentenza, le pareti fresche di restauro della basilica di San Paolo Maggiore a Piazza San Gaetano, nel centro antico. I clan, quella volta, per sfidare le bande rivali scelsero lo stesso palcoscenico che pochi mesi prima era stato di Dolce e Gabbana per la sfilata che fece il giro del mondo. Di fronte c’era la via dei pastori, San Gregorio Armeno, gremita di turisti estasiati per la bellezza del centro storico ma tutti si fermavano a guardare quello scempio, anche perché sulla parete appena ristrutturata della chiesa, le scritte si notavano ancora di più. Tre frasi: il numero 17, il nome del boss Emanuele Sibillo, le lettere F.S. che stanno per famiglia Sibillo e il messaggio vero e proprio, l’impronta di una mano con la scritta «sentenza per sempre». Il riferimento è alla banda rivale dei cosiddetti «capelloni», i Buonerba che avevano incassato una sentenza di condanna per alcuni suoi affiliati (tre ergastoli e due condanne a trent’anni di reclusione).
I codici di questi due clan però sono su molti altri muri del centro antico. Per esempio ci sono le iniziali E.S. O F. S. che stanno per Emanuele Sibillo (morto giovanissimo in un agguato e idolatrato dal clan) e f «famiglia Sibillo». Oppure c’è il numero 17 che corrisponde sempre alla diciassettesima lettera dell’alfabeto «S». Così come il clan dei capelloni imbratta con il numero 6.2 che indicano la sesta e la seconda lettera dell’alfabeto. Tornando al clan Lo Russo, quando ci fu la guerra nel rione sanità comparvero scritte con «anti 32», dove 32 sta per il numero della smorfia relativa al «capitone» che è anche il nomignolo con cui vengono chiamati gli affiliati al clan Lorusso. Di più facile interpretazione le scritte nella zona del «cavone» con Q.S. Merda (quartieri spagnoli merda) oppure «Torretta comanda», nell’omonimo rione o «Conocal comanda» a Ponticelli nel feudo dei Di Micco. In realtà l’utilizzo dei numeri come codici non ha nulla di originale anzi. I clan napoletani scimmiottano le gang latine di cui imitano alcuni atteggiamenti. Infatti per esempio la gang latinoamericana Mara Salvatrucha utilizza il «13»e poi c’è il «barrio 18» che usa il «18» per marchiare l’appartenenza alla banda transnazionale nota anche come l’esercito dei bambini, proprio come il clan dei Sibillo.

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