20 dicembre 2018 - 23:36

Libano, la guerra 50 metri sotto terra

Sul confine, dove 4 tunnel scavati da Hezbollah («il partito di Dio») sono stati scoperti da Israele. L’Unifil, a comando italiano, deve disinnescare l’emergenza

di Lorenzo Cremonesi, inviato in Libano

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Chiamiamola la regione dei tunnel. Sono scavati qui sotto, lunghi centinaia di metri, cunicoli larghi almeno un metro e mezzo, alti mediamente uno e settanta, percorsi da tubi per l’aereazione, alcuni scavati con macchinari sofisticati a profondità che variano tra i 15 e quasi 50 metri. «Sono stati lavorati con perizia. Qui, a differenza dei tunnel palestinesi di Gaza, il sottosuolo non è sabbioso, ma dura roccia. Potrebbero essere stati scavati molti anni fa. Ciò potrebbe significare che oggi sono in disuso e dunque l’allarme sarebbe limitato, se non nullo. Ma potrebbero anche essere concepiti come armi dormienti, pronte all’uso quando necessarie, gallerie d’attacco potenziali. Vanno scoperte, valutate per capire se davvero attraversano la Blue Line (la linea di divisione tra i due Paesi, ndr) verso Israele e chiuse. Ci attendiamo ora risposte convincenti dalle autorità militari libanesi», ci diceva due giorni fa Stefano Del Col, il generale italiano che comanda i circa 10.500 effettivi del contingente delle Nazioni Unite (Unifil) nel Libano del sud.

Situazione esplosiva

Una situazione potenzialmente esplosiva, foriera di violenze legate alle crisi che si addensano tra Israele e Iran, passando per Damasco e alimentate dalle notizie riguardanti il prossimo ritiro dei circa 2.000 militari americani che sono a sostegno dei curdi siriani nella guerra contro Isis. Non a caso il Paese dei Cedri è tradizionalmente una cartina al tornasole molto sensibile delle tensioni che innervosiscono il Medio Oriente. Anche se per il momento dalla parte del confine libanese si vede solo un paesaggio bucolico, che la sera s’illumina di luci colorate degli alberi di Natale addobbati nei pochi villaggi cristiani. Colline verdi, umide di pioggia, coperte di pini marittimi e cespugli spinosi. Sono cresciuti negli ultimi anni, dopo che i 33 giorni di guerra tra Israele e Hezbollah (il «Partito di Dio» degli sciiti libanesi sostenuto dai radicali di Teheran) nell’estate del 2006 avevano trasformato le alture del confine in un deserto di cenere, tronchi bruciati, fattorie isolate sventrate dalle bombe e villaggi in macerie.
Gli osservatori Unifil indicano quella di Ramyah come una delle zone di entrata dei tunnel. «Qui sotto passa almeno uno dei quattro scoperti dalle truppe israeliane e verificati dai nostri ispettori Onu come una ovvia violazione della Risoluzione 1701, che nel 2006 stabilì il cessate il fuoco e rafforzò Unifil», ci dice il generale Diodato Abagnara, comandante dei circa 1.100 bersaglieri della brigata Garibaldi e dell’intero settore occidentale.

Rasi al suolo

Ramyah, come del resto il vicino abitato di Bent Jbeil, dodici anni fa furono rasi al suolo dai bombardamenti israeliani. Hezbollah vi aveva scavato una fitta rete di bunker e ricoveri da dove lanciare migliaia di missili e blitz di commando ben addestrati. Oggi tra gli edifici ricostruiti sventolano fitte le bandiere gialle del movimento. Sui muri sono ben visibili i ritratti dei «martiri» caduti in combattimento. Costituiscono la gran parte degli oltre 1.300 libanesi morti allora. Secondo Israele, i tunnel sarebbero la prova evidente che Hezbollah starebbe preparando un’altra offensiva. Non è però d’accordo il 62enne Hassan Dabuk, dal 2010 sindaco di Tiro e massimo rappresentante politico sciita locale. «Non vedo alcun segnale di guerra imminente. Qui siamo tutti concentrati sulla ricostruzione. Hezbollah sa bene che verrebbe messo all’indice dalla sua gente se causasse un’altra ondata di distruzioni», afferma.

Emergenza da disinnescare

Il generale Del Col chiede però che le autorità libanesi agiscano presto per disinnescare l’emergenza tunnel. «Gli israeliani mi hanno personalmente condotto a visitarli sul loro territorio. Ho visto i buchi scavati per individuarli. Almeno tre, ma potrebbero essere molti di più, si trovano nel nord-est, tra il villaggio libanese di Kafr Kila e la cittadina israeliana di Metulla. Ho anche visto quello di Ramyah. Noi abbiamo inserito i nostri sensori a raggi laser per verificare che davvero vengono dalla zona libanese. Non credo vi sia una vera uscita in territorio israeliano. Ora sto cercando di lavorare per individuare le entrate in Libano. Ma tra i limiti del nostro mandato c’è che non possiamo operare nelle proprietà private, dobbiamo sempre chiedere che l’esercito libanese lo faccia per noi». La sua spiegazione illustra uno dei motivi delle tradizionali critiche israeliane: Unifil non avrebbe «i denti» per bloccare con efficienza l’aggressività di Hezbollah. D’altro canto, ciò vale anche per le infrazioni compiute metodicamente da Israele. Aggiunge il generale: «Israele invade continuamente lo spazio aereo libanese con droni e jet militari. Si tratta di incursioni quotidiane che violano la 1701. E così fa via mare, visto che ha posto arbitrariamente una linea di boe a delimitare le proprie acque territoriali non riconosciuta internazionalmente. Noi non possiamo reagire con le armi. Non sta nel nostro mandato di osservatori. Dobbiamo limitarci a denunciare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu»

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