13 maggio 2019 - 11:57

Viaggio ad Erfurt, la capitale economica della ‘ndrangheta in Germania

La tranquilla cittadina tedesca fu scelta dai clan calabresi per avviare una serie di affari e il collegamento emerse dopo la strage di Duisburg.
Ma per i media tedeschi è rischioso parlare di questo intreccio

di Amalia De Simone

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C’è una cittadina in Germania, nella zona della Turingia, che negli anni è diventata un importante presidio economico per la ‘ndrangheta. Erfurt è la tipica città tedesca, ordinata, efficiente, affacciata su un corso d’acqua, con un bel Duomo, degli edifici che sanno di storia. Eppure si porta addosso un’ombra, perché fu scelta dai clan calabresi per avviare una serie di affari e il collegamento emerse dopo la strage di Duisburg.
Su questo intreccio hanno lavorato un gruppo di giornalisti della tv MDR con la collaborazione di un esperto italiano Fabio Ghelli e tutti hanno avuto problemi dopo la pubblicazione a causa di una serie di querele temerarie innescate per fermare il loro lavoro.

«La polizia tedesca e quella italiana cominciarono ad interessarsi alle attività di Erfurt dopo aver individuato dei locali commerciali in un quartiere molto alla moda di Berlino quello di Charlotteburg. - Dice Ghelli - Erfurt è un modello di sviluppo molto particolare perché per la prima volta la ‘ndrangheta, invece di appoggiarsi a strutture esistenti e cercare i connazionali per creare dei tessuti criminali va a investire in maniera strategica in una nuova zona in una zona vergine e lo fa con grandissimo successo».

«Abbiamo mosso i primi passi nel 2014-2015 facendo un’analisi di quello che è accaduto dopo il massacro di Duisburg. Spiega Ludwig Kendzia, giornalista di MDR autore di Revier der Patern - Mafia in Mitteldeutschland - Sapevamo che c’era un collegamento diretto tra la strage e la città di Erfurt. Il sospetto è che da Erfurt venga gestito già da molti anni un giro di riciclaggio attraverso un ampio network di esercizi commerciali. Secondo i nostri dati circa 20 aziende e 30 ristoranti sono coinvolti in questa rete e non si trovano solo in Erfurt, ma anche a Dresda e Lipsia e Kassel o nella regione del Baden Württemberg. In questa rete sono stati investiti circa 100 milioni di euro. I 100 milioni di euro sono la base su cui è stato costruito questo network che serve a riciclare denaro proveniente dal traffico di stupefacenti».

Le cosche calabresi quindi si sarebbero saldamente infiltrate nel tessuto economico e c’è la possibilità che abbiano cominciato anche ad inquinare la politica tedesca: «E’ nostra opinione che, come in Italia, anche in Germania organizzazioni come la ‘ndrangheta, la camorra e Cosa Nostra cerchino di infiltrare la politica locale. Il problema è dimostrare questa strategia. Ed è molto difficile.Dobbiamo ammettere che ad oggi non ci è riuscito dimostrare questo collegamento. Esiste il sospetto, sì. Anche il sospetto che vi siano stati flussi di denaro o di favori da parte di membri della criminalità organizzata verso la politica locale».

Parlare delle mafie in Germania è diventato particolarmente difficile perché dal punto di vista normativo è difficile colpire gli affiliati ai clan non esistendo il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Ne consegue che formalmente, alcuni mafiosi italiani per il sistema tedesco sono niente altro che imprenditori italiani di successo e a pagarne le conseguenze nei tribunali spesso sono proprio i giornalisti che provano a parlare del fenomeno. «Gli inquirenti hanno dunque conoscenze relative al fenomeno ma non ne parlano pubblicamente, anche in virtù del fatto che i mafiosi in Germania non esitano a querelare chiunque si azzardi a parlare pubblicamente di loro. - aggiunge l’altro autore di Revier der Patern - Mafia in Mitteldeutschland, Axel Hemmerling - Per portare avanti queste querele, a volte per anni, dispongono di ingenti capitali. Siamo arrivati al punto che chi parla di mafia deve riflettere attentamente, anche quando si tratti di istituzioni pubbliche, se sia il caso di affrontare questo rischio. Anche perché una volta che si parla di mafia diventa necessario fornire le prove che le persone in questione siano dedite ad attività criminali e in assenza di un adeguato capo di imputazione questo può risultare difficile».

«Nel momento in cui il documentario è stato mandato in onda dalla rete MDR – riassume Fabio Ghelli - a distanza di poche settimane ci ha colpito una querela di un imprenditore italiano che si è riconosciuto in uno dei personaggi di cui parlavamo nel documentario. Questo imprenditore ha anche citato in giudizio altri giornalisti che hanno semplicemente coperto il processo su altre testate provocando una specie di reazione a catena in cui coinvolgeva chiunque parlasse di questo fenomeno. Nel momento in cui si sparge la voce che chi parla di mafia nei media tedeschi può essere qualsiasi momento colpito da querela, ecco che l’editore può decidere di non parlare più di questo argomento».

Anche la scrittrice Petra Reski, dopo la pubblicazione del suo libro Santa Mafia ha avuto seri problemi con le azioni giudiziarie temerarie: «Finché la persona non è stata condannata in Germania per reati di mafia noi non possiamo parlarne. - spiega Reski - Questo è successo a me con il mio libro. Questa pratica a cosa serve? Serve a insegnare a tutti i giornalisti alle redazioni e soprattutto alle case editrici che non è una buona idea occuparsi di mafia». La coordinattrice del settore investigativo della rete MDR, Monique Junke è molto determinata e decisa ad affrontare i temi che riguardano le infiltrazioni mafiose e a supportare il suo team fino in fondo: «Non è facile. Sappiamo che si incontreranno delle difficoltà ma abbiamo deciso qui in televisione, che quello della mafia è un tema importante e abbiamo bisogno di parlarne, quindi sosterremo i giornalisti nel loro lavoro. Quando ci saranno conflitti affronteremo li insieme e lotteremo insieme».

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