lunedì,Aprile 29 2024

“Cavalli di ritorno” a Cosenza, ecco com’è nata l’inchiesta

Le persone arrestate non avrebbero mai potuto immaginare che il primo furto di auto denunciato ai carabinieri sarebbe stato quello decisivo per iniziare una più ampia e complessa attività d’indagine che ha permesso di scoprire una presunta associazione a delinquere dedita al cosiddetto fenomeno del “cavallo di ritorno”.  Tutto parte da un furto avvenuto a

“Cavalli di ritorno” a Cosenza, ecco com’è nata l’inchiesta

Le persone arrestate non avrebbero mai potuto immaginare che il primo furto di auto denunciato ai carabinieri sarebbe stato quello decisivo per iniziare una più ampia e complessa attività d’indagine che ha permesso di scoprire una presunta associazione a delinquere dedita al cosiddetto fenomeno del “cavallo di ritorno”. 

Tutto parte da un furto avvenuto a Rende il 25 ottobre 2017, quando la persona offesa riceve una telefonata nel corso della quale l’ignoto interlocutore, una donna, affermava che l’auto «“era in loro possesso”». 

I carabinieri della Compagnia di Rende acquisiscono i tabulati telefonici dell’utenza ed emerge che la telefonata era stata effettuata da una cabina installata a Cosenza in via G. Tommasi. Così gli investigatori, d’intesa con la procura di Cosenza, decidono di installare delle telecamere e delle cimici nella cabina telefonica incriminata. 

Le prime risultanze d’indagine fanno emergere un’articolata rete di condotte criminose legate al furto di auto, a cui facevano seguito le richieste di riscatto in denaro nei confronti delle vittime. Prezzo che poteva essere in alcuni casi trattato, mentre in altri casi era imposto. Nel caso le parti avessero trovato un accordo, gli indagati avrebbero indicato il luogo in cui era “custodita” l’auto rubata. 

I carabinieri, inoltre, intuiscono che dietro al fenomeno criminoso del “cavallo di ritorno” ci sono soggetti, uomini e donne, tutti di etnia rom residenti nelle palazzine popolari di via degli Stadi a Cosenza, «quartiere da loro di fatto controllato ed utilizzato come base logistica per la perpetrazione dell’attività criminale» evidenza il gip Manuela Gallo. 

Dall’inchiesta, coordinata dal pm Antonio Tridico, viene a galla anche un altro dato preoccupante, ovvero che le vittime non venivano minacciate per riavere la macchina rubata, ma la richiesta estorsiva era diretta e convincente vista la «caratura criminale» di alcuni. Le persone offese, tuttavia, davano il loro assenso nell’avviare la trattativa pur di riavere l’auto. 

L’attività investigativa, rispetto ai quali 90 capi d’accusa contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare, non sempre è riuscita ad individuare gli autori del furto, con la conseguenza che – «laddove ad esso sia seguita un’attività di natura estorsiva – ai responsabili dell’estorsione è stata correttamente contestata anche la ricettazione del mezzo». (a. a.)

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