Ogni guerra divampa da una piccola scintilla. Che si tratti dell’attentato all’arciduca che provocò il primo conflitto mondiale, o l’attacco a Pearl Harbor che svegliò il gigante addormentato Stati Uniti.
Oggi nel mondo esistono vari focolai da cui potrebbe scatenarsi un conflitto su vasta scala. Uno di questi si chiama Ucraina. Proprio “Ucraina. La guerra geopolitca tra Stati Uniti e Russia” (Historica, 20 euro) è il titolo del libro firmato da Fabrizio Bertot, industriale, ex sindaco di Rivarolo e attualmente europarlamentare, e dal giornalista Antonio Parisi. «In slavo antico, Ucraina significa “confine”» spiega Bertot, mettendo in evidenza come questo stato sia un vero e proprio uscinetto, un’area di frontiera tra l’Europa e la Russia, lo scacchiero su cui si sta giocando una nuova forma di guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, ma anche con l’Unione Europea, la Nato.
«In Ucraina si denotano due diversi sentimenti nazionalistici, che alimentano uno stato di odio/amore nei confronti della Russia, creando due diverse identità nazionali - spiega Bertot -. Gli interessi in gioco sono altissimi: è davvero scandaloso, ad esempio, che tre cittadini stranieri, georgiani ed americani, siano diventati ministri del governo ucraino ottenendo la cittadinanza un giorno prima delle loro nomine. Non dimentichiamoci che la questione Ucraina ha danneggiato, economicamente, anche l’Italia, a causa di mancati rapporti commerciali che avrebbero dato giovamento alle nostre imprese. Si tratta di mancate esportazioni con i Paesi Russi, o della perdita di commesse commerciali con aziende operanti in quei territori. La nostra presenza in Europa, deve partire proprio dall’analisi di queste problematiche, di cui i media, purtroppo, non parlano molto».
Un «tiro alla fune di tutti contro tutti in Europa» spiega, tra le altre considerazioni, nella prefazione l’ambasciatore Giulio Prigioni. Una ricostruzione attenta di un gioco diplomatico che può ricordare per intreccio una guerra di spie, ma qui non si tratta di thriller o spy story, qui è tutto drammaticamente vero. E pericoloso. Non soltanto per l’economia o la finanza.
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