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04 Aprile 2018 - 08:29
È il figlio di uno dei più temibili boss della ‘ndrangheta, ritenuto il mandante dell’omicidio di due carabinieri. Lui però a differenza del padre, “lavorava” a Rivoli dove è stato arrestato lo scorso luglio per spaccio. Ora per lui, che nel frattempo era stato messo ai domiciliari nella casa natia di Melicucco, in provincia di Reggio Calabria, è arrivata la condanna a 5 anni di galera ed è così di nuovo stato arrestato e condotto in carcere, dove dovrà scontare la propria pena.
Antonio Filippone, 45 anni, si trova ora presso in una cella del carcere di Locri. Pochi mesi fa però gestiva i propri “affari” da Rivoli. Il suo nome però è importante soprattutto per “merito” del padre, Rocco Santo Filippone, 77 anni, il cui nome è legato a doppio filo con il periodo della guerra tra criminalità organizzata e Stato. Lui e Giuseppe Graviano, 54 anni, sono infatti accusati di essere i mandanti - in concorso fra loro e con Giuseppe Calabrò, Consolato Villani (entrambi già condannati in via definitiva quali esecutori materiali) e Demetrio Lo Giudice detto Mimmo (nel frattempo deceduto) - del tentato omicidio dei carabinieri Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo (commesso in località Saracinello di Reggio Calabria, nella notte fra l’1 e il 2 dicembre 1993), dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, contro i quali erano stati esplosi almeno tre raffiche di colpi di mitra M12 (commesso sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Scilla, il 18 gennaio 1994), del tentato omicidio dei carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, in direzione dei quali erano stati sparati numerosi colpi di mitra M12 e di fucile calibro 12 (commesso a Reggio Calabria, in località Saracinello, l’1 febbraio 1994).
Omicidi e tentati omicidi, questi, compiuti nella cosiddetta stagione degli attacchi mafiosi allo Stato. Filippone e Graviano avrebbero pianificato le aggressioni nell’ambito di un più ampio disegno criminoso di matrice stragista ideato, voluto ed attuato da Cosa Nostra e dalla ‘ndrangheta, con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento democratico. Le indagini hanno quindi rivelato come le più importanti riunioni tra le mafie siciliana e calabrese si fossero svolte nella zona tirrenica della provincia di Reggio Calabria, dove stabilmente risiede la cosca Filippone e il suo capo.
Se per la Dda reggina Filippone e Graviano sono i presunti mandanti degli omicidi e dei tentati omicidi dei carabinieri, sullo sfondo di questa misteriosa vicenda si muovono i fantasmi di Licio Gelli, della P2, della massoneria e dei servizi segreti deviati. Fantasmi che all’epoca dei fatti, parliamo degli anni Novanta, potrebbero aver agito nell’ombra e sotto traccia allo scopo di minare le fondamenta dello Stato democratico e cambiare in maniera radicale il volto del nostro Paese.
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