Dopo i recenti fatti in Libia e in Sudan c’è da chiedersi se l’Africa avrà mai un futuro realmente democratico. Negli anni ‘60, quando i leader della resistenza anti coloniale presero il potere, le giovani nazioni africane s’ubriacarono d’indipendenza e molte di esse tentarono la via marxista del partito unico, trasformando il continente nero in terreno di battaglia tra i due blocchi, occidentale e comunista; negli ‘80 e ‘90 si ebbero spinte libertarie e repressioni (o guerre etniche spacciate per tali). Oggi si assiste all’evidente fallimento dei processi di democratizzazione. Lo Zimbabwe alla fame implora i coloni rhodesiani di tornare. La Cina sta comprandosi l’Africa a pezzi grossi come il Piemonte. Lo Stato “padre-padrone” (a dispetto del rito formale delle elezioni) è il modello politico più diffuso: quasi tutti gli stati africani (salvo poche eccezioni come il Sudafrica) sono retti da presidenti-dittatori che dovrebbero tener lontano lo spettro delle guerre tribali e dei genocidi. Purtroppo questo spettro riappare qui e là, aizzato dai mercanti di armi e di materie prime, e le sue prime vittime sono i civili inermi, uccisi brutalmente dalle fazioni rivali, privati delle case, ridotti alla fame. I maschi costretti a lavorare come schiavi nelle miniere, le donne stuprate, i bambini rapiti e addestrati a combattere. “Non possiamo risolvere i problemi di questi popoli – ha detto Emma Bonino – se loro sono i primi a non volerlo”. Già. Ma il guaio è che un numero sempre maggiore di loro scappa da noi, e noi non possiamo prenderci l’Africa sulle spalle. Accogliendo indiscriminatamente chi fugge da guerra e povertà non si fa altro che importare guerra e povertà.
collino@cronacaqui.it
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