Alla faccia del Belpaese. L’Italia descritta da Gad Lerner è un posto inquietante, pieno di potenziali razzisti, di gente sospettosa e incline al pregiudizio. Roba da prendere il primo volo di sola andata ed espatriare (chissà dove, poi). In realtà, non siamo messi così male: quella rappresentata nell’access prime time di Rai3 dal giornalista e conduttore de La difesa della razza – titolo già di per sé evocativo – è una società che per fortuna rispecchia solo in parte la quotidiana realtà.
Lerner, che in tempi non sospetti aveva già dimostrato la propria abilità nel linguaggio della docu-inchiesta, stavolta ha scomodato le storiche e deplorevoli discriminazioni introdotte sotto il regime fascista per capire, tra analogie e distinzioni, quali siano le moderne espressioni del razzismo. Per portare a termine la sua missione, il giornalista ha perlustrato in lungo e in largo l’Italia con le telecamere al seguito, ha incontrato testimoni e visitato luoghi simbolo. Ma, a giudicare dalla prima puntata del suo nuovo programma, di razzisti convinti ne ha trovati ben pochi.
Già, perché l’Italia nel suo complesso non è un Paese razzista, anche se ancora oggi, in alcuni contesti, sopravvivono pregiudizi e atteggiamenti ingiusti dettati più dall’ignoranza (questa sì, è assai più diffusa) o dalla paura che da reali e certamente biasimevoli motivazioni a sfondo razziale. Sotto sotto, dev’essersene accorto anche lo stesso Lerner, che nella prima puntata ha cercato a fatica i focolai del nuovo antisemitismo senza però ottenere un pieno riscontro alla tesi da lui stesso perorata.
A colloquio con due ultras interisti, interpellati a rappresentanza di una curva che spesso definisce gli avversari “ebrei” in tono dispregiativo, il giornalista non ha trovato ostilità ma solo motivazioni confuse: i tifosi gli hanno spiegato che quegli insulti sono una goliardata e che in molti li pronunciano senza nemmeno comprenderne il senso. Poi, nella sede de Il Tempo, Lerner si è scontrato con un paradosso, evidenziato dal direttore del quotidiano: negli ultimi mesi, una parte della sinistra ha riportato in vita gli spettri di Mussolini e del fascismo, ma le recenti elezioni hanno dimostrato la residualità dei movimenti di estrema destra.
A Roma, la spiazzante ammissione: un esponente della comunità ebraica ha riconosciuto che, a differenza del passato, avvengono molti meno episodi di ostilità e che gli ebrei italiani non percepiscono lo stesso pericolo avvertito, ad esempio, in Francia, dove risiedono molti più arabi (toh: anche questo è da considerarsi razzismo?). Nella parte finale del reportage, il conduttore si è soffermato sulla controversa figura del finanziere ungherese George Soros, di origini ebraiche, mescolando però l’antisemitismo alle legittime critiche che taluni muovono alla visione di società da lui promossa. Operazione un po’ furbetta, a dire il vero.
L’impressione è che, nel tentativo di documentare la complessità dei fenomeni discriminatori nel nostro Paese, La difesa della razza abbia scelto di elevare a generale paradigma alcune situazioni minoritarie o comunque molto circoscritte, cavalcando l’onda di una narrazione parziale nei contenuti, spesso suggestionata dagli ingombranti fantasmi del passato. Ma televisivamente scorrevole, ben confezionata.
1. Jacaranda ha scritto:
24 aprile 2018 alle 12:29