29 aprile 2024
Aggiornato 18:00
Legge elettorale e dintorni

Renzi con Berlusconi, Delrio contro Marchionne, Napolitano dubbioso: nasce il Pd a 5 stelle che accontenta tutti

Il segretario Pd con rara eleganza scarica la responsabilità della fiducia sul Rosatellum su Paolo Gentiloni. Delrio arringa la Fiom. Strategie per recuperare voti nel tragico tempo post ideologico

Il segretario del Pd Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi
Il segretario del Pd Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi Foto: ANSA/GIUSEPPE LAMI, ANSA/ MASSIMO PERCOSSI ANSA

ROMA - Con rara eleganza il segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha scaricato la responsabilità della figuraccia scaturente dal voto di fiducia sul cosiddetto «Rosatellum» sul presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Renzi, dall’alto della sua terzietà, non sapeva, non vedeva, ignorava le meschine manovre del primo ministro: «Si può discutere sull’opportunità di porre la fiducia», dice ora. Con l’usuale genuinità e trasparenza che lo distinguono, Renzi ottiene un doppio risultato, o almeno così vorrebbe: portare a casa una legge elettorale che dà buone chance alla coalizione post voto Partito Democratico-Forza Italia, facendo fuori destra e sinistra, e soprattutto mettendo sotto pressione un uomo, Paolo Gentiloni, che sta diventando un avversario temibile. Capolavoro di cinismo, che però rischia di rivoltarsi contro perché le opposizioni, a volte sguaiatamente, stanno tentando di far passare Renzi per un generale golpista sudamericano che armeggia nell’ombra. Ma a lui non importa, tanto dà la colpa di tutto a Gentiloni, che è aduso ad "obbedir tacendo». Paradossalmente, chi ci guadagna di più da questa miserevole vicenda, è Silvio Berlusconi, ormai elevato a rango di statista se messo a confronto con la goffa cialtroneria renziana.

Gentiloni zitto incassa
Paolo Gentiloni, fedele al suo animo umano, ingoia l’ennesimo rospo pur di non far polemiche e portare a casa qualche risultato per il Governo. La manovra di bilancio - contingente finché si vuole perché fatta a pochi mesi dalle elezioni, insufficiente nella consistenza - rappresenta un lavoro almeno sufficiente, ad esempio. A sottolineare l’entusiasmo dell’esecutivo per il voto di fiducia sulla legge elettorale, in Aula l’intero Governo era assente. Strano per un Governo che, come fa intendere il segretario Pd, sarebbe il maggiore interessato all’approvazione in tempi rapidi della legge elettorale. I numeri che hanno fatto passare le prime due votazioni, sotto ricatto della fiducia, sono scandalosamente bassi: 307 sull’articolo 1, e 308 sull’articolo 2. Il Governo non era mai andato così male, segno che in Parlamento sono in molti nella maggioranza a mal digerire il Rosatellum. Anche perché, dati i listini bloccati, moltissimi dovranno tornare alle precedenti amene vite da comuni mortali.

Compagni Delrio e Mucchetti sulla barricata
Consapevole che il segretario del loro partito gioca come sempre una partita esclusivamente personale, i democratici di governo tentano di fare come possono una campagna elettorale parallela. Ieri è avvenuto un mezzo miracolo, perché il ministro Delrio ha criticato Sergio Marchionne, dato che il piano industriale promesso lustri fa per l’Italia rimane chiuso nel cassetto dei ricordi. Il messaggio è indiretto, il ministro in realtà ha sostenuto che la Fca non sta investendo abbastanza sullo sviluppo dell’auto elettrica – che non cambierà nulla a livello di impatto ambientale complessivo (ecological foot print), ma l’ignoranza su questo campo troneggia sovrana e quindi è un tripudio di slogan – e quindi potrebbe rimanere indietro. Più esplicito invece il senatore Pd Massimo Mucchetti, già editorialista economico del Corriere della Sera, e fedele amico del ministro: «La Fiat è ancora il più importante datore di lavoro privato in Italia, è diventata olandese e il potere del Governo nei suoi confronti è nullo». Parole che spiegano bene la situazione, peccato che Mucchetti e «compagni», quando Marchionne portava la sede fiscale e legale di Fca all’estero, siano rimasti silenti.

Destra, sinistra, centro, tutto uguale
Fare i barricadieri con l’eskimo ora è esercizio tanto facile quanto retorico, e furbesco: tipicamente italiano. In trasparenza, a pochi mesi dalle elezioni, il partito Democratico sfrutta il marketing inventato da Beppe Grillo. Essere di destra, di sinistra, centristi, moderati, estremisti, con i padroni, contro i padroni, con gli operai ma anche con gli imprenditori: tutto insieme. Renzi fa l’amicone con Berlusconi? Ottimo, tanto c’è Delrio che va ai convegni della Fiom a parlare male di Marchionne. Non credere più in nulla, essere solamente sulla piazza e nei salotti, per raggranellare voti. In tal senso l’apice lo tocca il già presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Anch’egli, come Matteo Renzi, dubbioso sulla fiducia posta dal Governo sulla legge elettorale. Surrealtà allo stato puro, che non si può nemmeno commentare.