Secondo giorno dell'incontro sugli abusi in Vaticano. “Chiesa deve abbassarsi e toccare le ferite dei minori che gridano giustizia”

Intenso il secondo giorno dell'incontro sugli abusi in Vaticano. Tra tante testimonianze, la consapevolezza che l'omertà non può trovare casa nella comunità dei credenti. Ruffini, “creare una cultura della denuncia”, anche con “appositi referenti”. O’Malley, “denuncia è obbligo morale”

Secondo giorno dell'incontro sugli abusi in Vaticano. “Chiesa deve abbassarsi e toccare le ferite dei minori che gridano giustizia”
Incontro abusi in Vaticano: Legrand (teologo), “una governance maggiormente sinodale” per “risolvere questa crisi”

“Papa Francesco ha legato la risposta alle violenze sessuali alla messa in atto, a tutti i livelli della vita della Chiesa, di una sinodalità fedele agli orientamenti del Vaticano II”. Lo scrive il teologo domenicano francese Hervé Legrand, in un articolo pubblicato sull’ultimo numero de “Il Regno”, nei giorni in cui si sta svolgendo l’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”. Una sinodalità che “non dovrà evidentemente essere confusa con una sorta di democratizzazione della Chiesa”. Considerando l’incontro un sinodo, il teologo afferma che “dopo aver espresso il proprio pentimento e la propria preoccupazione per le vittime, i padri sinodali non mancheranno di domandare la stesura di un codice di condotta per la protezione dei minori così come un aggiornamento del diritto penale della Chiesa, per quanto riguarda sacerdoti e vescovi”. Sono attese da Legrand anche “direttive per la formazione, in particolar modo psicologica, dei futuri sacerdoti”. Il rischio temuto è quello di “rimanere senza riforme strutturali”. “Orientarsi verso una governance maggiormente sinodale porterebbe invece a delle felici ricadute pastorali senza contare che vi è una richiesta in tal senso anche da parte dell’ambito ecumenico”. Infine, il teologo francese segnala che “la crisi attuale proviene anche da un male ordinario fatto da assopimento spirituale e intellettuale e da ignoranze più o meno colpevoli”. Per questo motivo, “questo sinodo potrebbe chiedere che venga stimolata nell’insieme della Chiesa una riflessione permanente”.

Padre Lombardi, “auguri” al Papa per festa Cattedra di Pietro. Ai partecipanti documentazione Onu su lotta violenza contro minori

“Oggi tutta la Chiesa prega per il Santo Padre e per il suo servizio di insegnamento e di guida. Gli facciamo gli auguri di tutto cuore, a nome di tutta la Chiesa, e vi invito a fare un piccolo applauso”. Con queste parole padre Federico Lombardi, moderatore dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori della Chiesa”, ha fatto gli auguri al Papa nella festività liturgica della Cattedra di Pietro, che coincide con la seconda giornata di lavori. “Grazie per essere qui con tutto il suo cuore e la sua attenzione e per darci con la sua presenza il suo conforto e il suo insegnamento”, ha detto Lombardi dopo la preghiera iniziale di stamattina. “Il Papa desiderava che tutti i presenti avessero a disposizione la documentazione ufficiale delle Nazioni Unite sui temi della lotta alla violenza contro i bambini”, ha poi proseguito Lombardi informando i 190 partecipanti della messa a disposizione, per ciascuno di loro, di apposito materiale sull’argomento. La lotta alla violenza contro i bambini, ha ricordato il moderatore dell’incontro, “è uno degli obiettivi dello sviluppo globale delle Nazioni Unite e su cui c’è un’attività sistematica di tutti gli organismi internazionali. Il nostro impegno non è indifferente all’impegno delle Nazioni Unite e all’attività degli organismi internazionali”. Lombardi ha poi rivelato che la settimana scorsa c’è stato un incontro con la rappresentante ufficiale delle Nazioni Unite per la lotta alla violenza contro i bambini, Marta Santos Pais, che ha messo a disposizione dei partecipanti al summit vaticano l’ultimo Rapporto Onu in materia, “Toward a world free from violence”, unitamente ad una sintesi dell’ultimo Rapporto Unicef 2017, “A familiar face”. “La violenza nei confronti dei bambini è nella grande maggioranza dei casi da parte di qualcuno che è familiare, vicino ai bambini”, ha fatto notare Lombardi a proposito del tema del Rapporto Unicef. “Per me è veramente un onore poter essere di appoggio per l’incontro importante della prossima settimana – si legge nel messaggio inviato dalla rappresentante Onu, letto da padre Lombardi  – e voglio fare tutti i miei auguri per una fruttuosa riflessione e buoni risultati. Ho speranza che questo materiale che vi mando sia di appoggio per gli sforzi decisivi della Chiesa cattolica per accelerare il suo impegno in questa aerea importante, e sono impegnata ad appoggiare anche in seguito l’impegno dei vescovi della Chiesa cattolica e a collaborare con voi”.

Card. Gracias, “nessun vescovo può dire non mi riguarda”, coniugare “centralismo romano” con ruolo delle Conferenze episcopali

“Nessun vescovo può dire a se stesso: ‘Questo problema di abuso nella Chiesa non mi riguarda, perché le cose sono diverse nella mia parte del mondo’. Ognuno di noi è responsabile per l’intera Chiesa”. Così il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale indiana, ha introdotto il tema della “accountability”, cioè il dovere di rendere conto, al centro della seconda giornata di lavori dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”. “Collegialità e sinodalità”, sono le parole d’ordine per i vescovi, ha spiegato nella sua relazione, la prima della mattinata: “Non basta parlare di una Chiesa sinodale – ha ammonito – e se vogliamo davvero viverla, allora dobbiamo imparare anche a praticare altre forme di gestione e il modo in cui portare avanti processi sinodali. Se non facciamo tutto questo, allora il discorso sulla sinodalità nel contesto degli abusi serve solo a nascondere un comportamento incoerente, tanto più in un ambito così delicato e difficile, deviando la responsabilità verso laici (uomini e donne), ma negando comunque l’opportunità di assumersi tale responsabilità”. “Mentre affrontiamo insieme il flagello dell’abuso sessuale, cioè collegialmente, dobbiamo farlo con una visione singolare e unitaria, nonché con la flessibilità e l’adattabilità che deriva dalla diversità di persone e situazioni nella nostra cura universale”, la proposta del cardinale, secondo il quale “non si può ignorare che nella Chiesa abbiamo avuto difficoltà ad affrontare la questione dell’abuso nel modo giusto”. “Ci impegniamo davvero in una conversazione aperta e segnaliamo onestamente i nostri fratelli vescovi o preti quando notiamo che hanno un comportamento problematico?”, ha chiesto Gracias ai 190 partecipanti, esortati a promuovere la “cultura della correctio fraterna”, ad “ammettere personalmente gli errori l’uno con l’altro” e a “chiedere aiuto, senza fingere di voler essere perfetti”. A proposito dell’iter da seguire nei casi di abusi, per il cardinale “dovremmo chiederci se un certo centralismo romano non tenga abbastanza conto della diversità nella fratellanza, se le nostre competenze e capacità come pastori responsabili delle chiese locali non siano usati in modo appropriato”. Di qui la necessità di “un confronto tra la Curia Romana e le nostre Conferenze episcopali”.

Card. Gracias, “dobbiamo pentirci e farlo insieme, perché lungo il cammino abbiamo fallito”. “Non esiste una soluzione facile o rapida”

“Dobbiamo pentirci e farlo insieme collegialmente, perché lungo il cammino abbiamo fallito. Dobbiamo cercare il perdono. Dobbiamo essere in un processo di discernimento continuo”. È l’invito contenuto nella parte finale della prima relazione della seconda giornata dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”, tenuta dal card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale indiana. “Con l’evolversi della crisi degli abusi, siamo venuti a sapere che non esiste una soluzione facile o rapida”, l’analisi del cardinale: “Siamo sintonizzati per andare avanti, passo dopo passo e insieme. Ciò richiede discernimento”. In termini concreti, dunque, l'”accountability”, cioè il dovere di rendere conto, per Gracias implica la capacità di “rivendicare, o meglio reclamare, la nostra identità nel collegio apostolico unito al successore di Pietro, e dobbiamo farlo con umiltà e franchezza: invocare coraggio e audacia, perché il percorso non è tracciato con grande precisione ed esattezza; abbracciare la vita del discernimento pratico, perché vogliamo realizzare ciò che Dio vuole da noi nelle circostanze concrete della nostra vita; essere disposti a pagare il prezzo di seguire la volontà di Dio in circostanze incerte e dolorose”. “Ignorare o minimizzare ciò che le vittime hanno sperimentato esaspera il loro dolore e ritarda la loro guarigione”, il monito del porporato in merito al processo che deve portare i sopravvissuti ad uscire fuori dal loro dramma, alla cui radice c’è “un atto di grave ingiustizia”.

La poesia di una vittima, “il ponte che fece la differenza”

Ieri sera, durante la preghiera che ha concluso la prima giornata di lavori dell’incontro su “La protezione dei minori in Vaticano”, i 190 partecipanti hanno ascoltato la testimonianza di un giovane proveniente dall’Asia, che ha scelto la forma di una poesia – dal titolo “Il ponte che fece la differenza” – per raccontare, in terza persona, la sua storia di bambino ripetutamente violato, tolto a 5 anni da “un ambiente felice e sano”, la sua famiglia, “per una ragione giusta”: “La ricerca di una buona formazione cattolica”. “A soli cinque anni, in un mondo sconosciuto, entrò pieno di innocenza e paure in classi che gli erano nuove”, ha raccontato il giovane in forma poetica: “Gli mancava casa e qui cercava amici e custodi che gli facessero da genitori. Questa sostituzione gli fu fatale perché per lui che era giovane i loro desideri erano strani. Spogliato della sua innocenza ancora e ancora, abbandonato al proprio destino in questo mondo adulto, non trovò speranza e divenne solitario. Con il passare degli anni lo aveva fatto a pezzi. Ma non poteva dirlo a nessuno, per paura del disonore e della vergogna”. Finché “una volta si mise a riflettere da un ponte, e si chiese: ‘Come cambiare questo percorso in discesa, cambiare l’ordine delle cose’?. Non ci fu mai una risposta. Niente nella sua vita era rimasto intatto. Tutto era macchiato. Dio c’era mai stato? Perché Lui sarebbe l’unico a sapere tutto”. Ma poi, inaspettatamente, quello stesso ponte diventa un’ancora di salvezza: “Il ponte che contemplava gli mostra la strada, una strada che era diversa e questo diede frutti, quando stranamente sentì nel suo cuore rumoroso e tormentato una voce che chiedeva un cambiamento. Un viaggio che iniziò per realizzare quanto la voce gli aveva detto. Un cammino di perdono, un cammino di riconciliazione, un cammino per accettare la vita com’era, piena di ferite, dolore e desolazione”. Dalla sua storia, un appello al mondo: “Chi si assumerà la responsabilità di vite spezzate? Restituite quanto è andato perso! Mostrate che vi importa! Perché tutto ciò che fate riscatterà le molte urla silenziose che attendono il giorno della salvezza”.

Card. Schönborn (Vienna), ascolto per le vittime, nessuna copertura, coraggio per la verità

“Sono vecchio abbastanza per aver vissuto un periodo in cui le percosse e gli schiaffi a scuola erano dati per scontati. Tutti sapevano che (quasi) nessuno era contrario. I genitori non si lamentavano. Il dirigente scolastico non reagiva in alcun modo. E a noi studenti non sfiorava l’idea di lamentarci. Era tanto tempo fa e sarebbe impensabile oggi. Grazie a Dio è avvenuto un cambiamento culturale”. È il cardinale di Vienna Christoph Schönborn che così scrive oggi nella rubrica “Risposte” del giornale Heute. “Anche sul tema abusi sta avvenendo un cambiamento culturale a livello mondiale”. C’è stato un tempo in cui negli orfanotrofi pubblici e cattolici “violenza e abuso sessuale erano frequenti e accettati. Si faceva finta di niente, come per gli abusi nelle famiglie”, continua il card. Schönborn, a Roma in questi giorni tra i partecipanti all’incontro sulla protezione dei bambini. “Sono grato a Papa Francesco perché affronta con coraggio e decisione questo triste e vergognoso capitolo”. E conclude: “Al primo posto devono stare le persone coinvolte, le vittime. Devono essere ascoltate. Nessuna copertura, coraggio per la verità. E conseguenze efficaci. Solo allora ci sarà un vero cambiamento culturale”.

Card. Ravasi, per il bambino “duplice tradimento della fiducia e della persona umana”

“Un incontro indispensabile”. Così il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, in una dichiarazione al Sir, a margine del convegno “Bambini e disuguaglianze”, in corso oggi a Roma presso il Policlinico Umberto I. Ravasi, nella relazione al convegno, ha toccato anche il tema della pedofilia nella Chiesa, in questi giorni al centro di un incontro in Vaticano. “La diseguaglianza legata alla pedofilia – ha detto al Sir il cardinale – è certamente una delle componenti più drammatiche e tragiche”. Per questo, “ritengo che l’incontro voluto da Papa Francesco sia indispensabile, ferme restando tutte le tutele per l’accertamento della verità”. “Teniamo conto che la Chiesa ha voluto farsene carico ma questo è un orizzonte che si allarga, pensiamo che esiste il tema della violenza nei confronti dei minori anche nella famiglia o nel campo dello sport. Esiste, cioè, questo oscuro mostro che dal punto di vista dell’uomo maturo diventa alla fine una forma di bestialità. Il bambino – ha aggiunto – vive una delle sue diseguaglianze drammatiche perché la sua uguaglianza dovrebbe essere la serenità e la tranquillità soprattutto nei confronti degli adulti che ai suoi occhi dovrebbero essere un punto di riferimento spontaneo e naturale. Si assiste – ha concluso – in questo caso al duplice tradimento della fiducia e della persona umana”.

Card. Ravasi, “quando affiorano componenti di devianza, coraggio di intervenire già alle origini”

“Questo incontro in Vaticano avrà due finalità”: lo ha affermato il card. Gianfranco Ravasi a margine del convegno sui bambini e le disuguaglianze in corso oggi a Roma presso il Policlinico Umberto I. “La prima – ha spiegato al Sir – è segnare il panorama realistico della situazione, perché si è posta anche la disuguaglianza delle suore e della figura femminile, anche attraverso testimonianze forti. Definire il quadro non è semplice perché esistono delle remore comprensibili – ha osservato -. La seconda finalità sarà trovare regole chiare che permettano di verificare che, quando affiorano, nell’interno del ragazzo che sta per avviarsi alla vita sacerdotale, queste componenti che sono di devianza e degenerazione psicofisica, bisogna avere il coraggio di intervenire già alle origini. Il Papa ha già dato una serie di norme che dovrebbero accompagnare fino al punto estremo, nel caso in cui il sacerdote le compia, affinché in quel momento cessi completamente la sua funzione”.

Card. Cupich, “rigettare categoricamente gli insabbiamenti”, il ruolo dei “laici” è fondamentale

“Il richiamo della Chiesa ad accompagnare le vittime impone di rigettare categoricamente gli insabbiamenti o il consiglio di prendere le distanze dai sopravvissuti agli abusi per ragioni legali e per paura dello scandalo che blocca il vero accompagnamento a coloro che sono state vittime”. Lo ha spiegato il card. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo, nella sua relazione all’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”. “Ascolto, testimonianza laica, collegialità e accompagnamento”: sono questi, ha detto il cardinale, i quattro pilastri dell'”accountability”, cioè il dover rendere conto, che “richiede che si creino strutture e disposizioni giuridiche per sancire esplicitamente il dovere di proteggere i giovani e le persone vulnerabili”, rifiutando ogni tentazione di clericalismo. “Ogni membro della Chiesa ha un ruolo essenziale nel contribuire ad eliminare l’orribile realtà degli abusi sessuali del clero”, la tesi di Cupich, secondo il quale “in gran parte è la testimonianza dei laici, soprattutto madri e padri con grande amore per la Chiesa, ad aver sottolineato in modo commovente e con forza che l’insabbiamento, la tolleranza del clero e l’abuso sessuale sono gravemente incompatibili con l’essenza e il significato stesso della Chiesa”. “Madri e padri ci hanno chiamato a rendere conto, semplicemente perché non riescono a capire come noi, vescovi e superiori religiosi, siamo stati spesso ciechi di fronte alla portata e ai danni degli abusi sessuali sui minori”, l’analisi del cardinale: “I genitori stanno testimoniando la duplice realtà che deve essere perseguita oggi nella Chiesa: uno sforzo incessante per sradicare gli abusi sessuali del clero e il rifiuto della cultura clericale che tanto spesso ha generato quell’abuso”. “La vera sinodalità nella Chiesa – ha proseguito Cupich – ci chiama a considerare questa ampia testimonianza laica, potente e capace di accelerare la missione per la quale siamo qui giunti insieme da ogni nazione, alla ricerca della sicurezza dei figli di Dio”. Di qui la necessità di “integrare un’ampia partecipazione laica in ogni sforzo per identificare e costruire strutture di accountability per la prevenzione degli abusi sessuali del clero”. “La storia dei decenni passati – ha fatto notare il relatore – dimostra che la prospettiva unica di uomini e donne laici, madri e padri, informa la nostra Chiesa in modo così profondo su questa tragedia che qualsiasi percorso che la escluda o sminuisca deformerà inevitabilmente la Chiesa e disonorerà nostro Signore”.

Card. Cupich, “creare meccanismi di segnalazione indipendenti”. “Norme speciali” e “un fondo comune” per le indagini dei vescovi

“Tutti i meccanismi per presentare denuncia di abusi o maltrattamenti nei confronti di un vescovo dovrebbero essere trasparenti e ben noti ai fedeli”. È uno dei suggerimenti pratici del card. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”, nella sua relazione, in cui ha presentato un quadro per la costruzione di nuove strutture legali di “accountability” nella Chiesa. “Dovrebbe essere prestata attenzione alla creazione di meccanismi di segnalazione indipendenti – una delle proposte del porporato – sotto forma di una linea telefonica dedicata e/o un servizio di portale web per ricevere e trasmettere le accuse direttamente al nunzio apostolico, al metropolita del vescovo accusato o, se necessario, al suo sostituto e a qualsiasi esperto laico previsto dalle norme stabilite dalle Conferenze episcopali”. “Il coinvolgimento di esperti laici per offrire assistenza da ora in avanti diventa necessario per il bene del processo e il valore della trasparenza”, la tesi di Cupich, secondo il quale “dovrebbero essere stabiliti altri requisiti e procedure per riferire alle apposite autorità ecclesiastiche da parte dei membri del clero che siano a conoscenza della cattiva condotta di un vescovo”. Secondo il cardinale, inoltre, “sarà utile adottare chiari procedimenti procedurali radicati nelle tradizioni e nelle strutture della Chiesa, ma allo stesso tempo soddisfare i bisogni moderni di identificare e investigare comportamenti potenzialmente illeciti da parte dei vescovi”. “Mentre la Santa Sede può emettere leggi universali in merito a questo tema – ha fatto notare Cupich definendo il Motu Proprio ‘Come una madre amorevole’, emanato da Papa Francesco nel 2016, l’esempio perfetto – le Conferenze episcopali, dopo opportune consultazioni, dovrebbero prendere in considerazione l’adozione di norme speciali per rispondere alle esigenze particolari di ogni Conferenza”. Tra le altre proposte avanzate dall’arcivescovo di Chicago, anche l’istituzione di “un fondo comune a livello nazionale, regionale o provinciale per coprire i costi delle indagini dei vescovi, tenendo debitamente conto delle norme di diritto canonico per la sua amministrazione”.

Padre Lombardi, termine “tolleranza zero” è solo “una parte della questione della protezione dei minori”

“Non ho mai usato il termine ‘tolleranza zero’, perché si riferisce ad una parte molto limitata” dell’azione di contrasto agli abusi. Lo ha detto padre Federico Lombardi, moderatore dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”, rispondendo alle domande dei giornalisti durante il secondo briefing – relativo alla giornata dedicata all'”accontability” – al quale, oltre a padre Lombardi, hanno partecipato i cardinali Blase Cupich (Chicago) e Patrick O’Malley (Boston), l’arcivescovo di Malta Charles Scicluna, e il prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini. Il termine “tolleranza zero”, ha spiegato Lombardi, “si riferisce a un modo d’intervenire, giustamente punitivo, nei confronti dei criminali: è una parte, certamente fondamentale, ma solamente una parte della questione della protezione dei minori”. Ambito, questo, di portata molto più vasta, che non rientra nell’espressione “tolleranza zero”, nella quale – per il moderatore della “tre giorni” in corso in Vaticano fino a domenica – non è compresa, ad esempio, “tutta la dimensione della cura pastorale delle vittime, dell’accompagnamento, della situazione del clero, della prevenzione nelle parrocchie”. Ad una domanda su come si concili la prima parre del punto 15 affidato dal Papa alla riflessione dei partecipanti – che recita: “Osservare il tradizionale principio della proporzionalità della pena rispetto al delitto commesso. Deliberare che i sacerdoti e i vescovi colpevoli di abuso sessuale su minori abbandonino il ministero pubblico” – il card. O’Malley ha risposto facendo notare che, nelle stesse intenzioni del Santo Padre, “si tratta solo di un punto di partenza, non ho mai pensato che sia contrario alla tolleranza zero”. A fare da sfondo, secondo O’Malley e secondo mons. Scicluna, c’è l’affermazione pronunciata da Giovanni Paolo II il 24 aprile 2002: “La gente deve sapere che nel sacerdozio e nella vita religiosa non c’è posto per chi potrebbe far del male ai giovani”. “Si tratta di un principio che deve animare ogni decisione, come principio fondamentale”, ha commentato Scicluna: “Non c’è posto nel ministero sacerdotale per chi possa fare del male ai giovani. È una constatazione prudenziale e di urgenza, che non ha niente a che fare con la pena. La questione prudenziale dell’idoneità al ministero non è una questione primariamente penale. La pena può anche essere espiatoria: non tolgo una persona dal ministero sacerdotale per punirla, ma per proteggere il gregge”.

Ruffini, “creare una cultura della denuncia”, anche con “appositi referenti”. O’Malley, “denuncia è obbligo morale”

“Creare una cultura della denuncia, anche con appositi referenti”. È uno degli argomenti su cui si sono confrontati i 190 partecipanti all’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”. A riferirlo è stato Paolo Ruffini, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, durante il secondo briefing sui lavori. Una possibile deriva da evitare, ha aggiunto il prefetto riferendo del dibattito emerso finora nel corso della “tre giorni”, “i processi mediatici, dove rischia di sparire la presunzione di innocenza”. Interpellato dai giornalisti sulla diversità delle posizioni in merito all’obbligo di denuncia, nelle varie Conferenze episcopali, e sulla possibilità che tale atteggiamento venga considerato un’omissione, mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, ha risposto: “Dipende dalle leggi civili dei rispettivi Paesi. Se l’abuso nasce nel contesto della Chiesa, ho il dovere di denunciare, e così facciamo nella nostra Conferenza episcopale. La questione della denuncia alle autorità civili è prioritaria: c’è un’obbligatorietà in base al quale, se non lo faccio, compio un delitto civile”. La Congregazione per la dottrina della fede, già nel 2011, ha ricordato il segretario aggiunto, esortava a “rispettare la legge dello Stato per quanto riguarda questo obbligo: un’indicazione che bisogna seguire sempre”. Anche negli Usa, ha detto il card. Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, presidente del Commissione per la tutela dei minori e membro del Consiglio dei cardinali, “siamo impegnati a denunciare sempre: c’è un obbligo morale a condividere con le autorità civili il nostro impegno per la tutela della sicurezza dei bambini. La crisi terribile degli abusi è nata proprio perché per tanto tempo i casi non venivano denunciati. Per me la denuncia è molto importante per le Conferenze episcopali. Sull’obbligo di denuncia, a margine dei lavori, si è pronunciato anche mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece: “Si può arrivare alla decisione che anche i vescovi vengano spretati se colpevoli. Bisogna farlo. E si arriverà anche all’obbligo di denuncia. Noi vogliamo la Chiesa come Gesù la vuole, se c’è del male nella Chiesa, la gente ha l’obbligo di informare l’autorità competente, vogliamo finirla col nascondere le cose. Servirà una legge”.

Card. Cupich, caso McCarrick “momento molto triste e vergognoso”

Il caso McCarrick è “un momento molto triste e vergognoso nella nostra storia”. Così il card. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo, ha risposto alle domande dei giornalisti sulla recente riduzione allo stato laicale dell’ex arcivescovo di Washington, al quale era già stata tolta la porpora cardinalizia per volere del Papa. “È stato un momento molto triste per tutti noi”, ha aggiunto il card. Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, presidente della Commissione per la tutela dei minori e membro del Consiglio dei cardinali. “Abbiamo degli obblighi reciproci tra di noi, spero che chiunque venga a conoscenza di questo tipo di comportamenti informi la Santa Sede”, ha proseguito O’Malley: “Nessuno deve far finta di non vedere o insabbiare”, il monito: “Dobbiamo essere in grado di affrontare i nostri peccati, e non farli scomparire”. In positivo, ha commentato Cupich, il caso McCarrick “fa sì che ognuno viva in maniera autentica la sua vita di fronte a sé e al suo popolo”. Un processo, questo, che per il cardinale “ha a che fare con l’accontability”, tema al centro di questa seconda giornata dei lavori.

Ghisoni, serve corresponsabilità tra vescovi e laici, creare “commissioni consultive indipendenti” e “rivedere normativa del segreto pontificio”

“L’avvio, in sede locale, su base diocesana o regionale, di consigli che operino in maniera corresponsabile con i vescovi e superiori religiosi, supportandoli in questo compito con competenza e fungendo da luogo di verifica e discernimento rispetto alle iniziative da intraprendersi, pur senza sostituirsi a loro né ingerire in decisioni che ricadono sotto la diretta responsabilità giurisdizionale del vescovo o del Superiore, può costituire un esempio e un modello di una sana collaborazione di laici, religiosi, chierici nella vita della Chiesa”. È una delle proposte contenute nella terza e ultima relazione della seconda giornata dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori della Chiesa”, tenuta da Linda Ghisoni, sottosegretario per la Sezione per i fedeli laici del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Secondo l’esperta, per realizzare una vera corresponsabilità nella lotta agli abusi “è auspicabile che nel territorio di ciascuna Conferenza episcopale siano create Commissioni consultive indipendenti per consigliare e assistere i vescovi e i superiori religiosi e promuovere un livello uniforme di responsabilità nelle diverse diocesi”. Tali Commissioni siano composte da laici, senza che si escludano religiosi e chierici”. Non si tratterebbe, ha specificato la relatrice, “di persone che giudicano i vescovi, ma di fedeli che prestano il loro consiglio e assistenza ai pastori, anche valutandone con criteri evangelici l’operato, e che altresì informano i fedeli tutti del territorio riguardo alle procedure appropriate”. Tali Commissioni consultive nazionali, a loro volta, “mediante relazioni e riunioni periodiche tra loro, potranno contribuire ad assicurare una maggiore uniformità di pratiche e un confronto sempre più efficace, in modo che le Chiese particolari imparino l’una dall’altra in spirito di reciproca fiducia e comunione, con lo scopo di assumersi e condividere fattivamente la preoccupazione per i più piccoli e vulnerabili”. Nelle Linee guida nazionali, dunque, per Ghisoni dovrebbe essere inserito “uno specifico capitolo che determini motivi e procedure di accountability, affinché i vescovi e i superiori religiosi stabiliscano una procedura di verifica ordinaria del compimento di quanto previsto e una motivazione delle azioni intraprese o meno, così da non trovarsi a dover giustificare successivamente le ragioni di un determinato comportamento, assoggettandolo alle esigenze del momento, magari legato ad un’azione difensiva”. Da valutare, infine, “l’ opportunità di un ufficio centrale – non di accountability che è invece da valutarsi in sede locale – che promuova la formazione di questi organismi in una identità propriamente ecclesiale, solleciti e verifichi con cadenza regolare il corretto funzionamento di quanto avviato a livello locale, con una attenzione alla correttezza anche dal punto di vista ecclesiologico, in modo che i carismi e ministeri in campo siano tutti adeguatamente rappresentati e ciascuno possa contribuire con il proprio specifico apporto preservando altresì la libertà di ciascuno”. Per la relatrice occorrerà, infine, “rivedere l’attuale normativa sul segreto pontificio, in modo che esso tuteli i valori che intende proteggere, ossia la dignità delle persone coinvolte, la buona fama di ciascuno, il bene della Chiesa, ma nello stesso tempo consenta lo sviluppo di un clima di maggiore trasparenza e fiducia, evitando l’idea che il segreto venga utilizzato per nascondere problemi anziché per proteggere i beni in gioco”.

Monda, “Chiesa deve abbassarsi e toccare le ferite dei minori che gridano giustizia”

La Chiesa “fedele a Gesù” deve “abbassarsi. Farlo sempre e soprattutto oggi di fronte ai minori abusati con le loro ferite che gridano giustizia”. Abbassarsi e toccarne le ferite. Lo afferma, nell’editoriale odierno de L’Osservatore Romano, il direttore Andrea Monda. ripercorrendo le due prime giornate dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” in corso in Vaticano. Monda ricorda l’intensa relazione del card. Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis, che ha affermato che “nessuno può dire ‘Mio Signore e mio Dio’, la più forte affermazione di fede di tutto il Vangelo, se non ha prima il coraggio di guardare e di toccare le ferite di Cristo”. “Chi per paura chiude gli occhi di fronte alle ferite – sostiene Monda – non può rivendicare il diritto di essere inviato ad annunciare il Vangelo. E le ferite di Cristo coincidono con quelle degli uomini, con quelle dei piccoli vittime delle violenze”. Pertanto, senza questa dimensione, “pur portando alla messa a punto di strategie operative e di prassi concrete per rispondere alla crisi legata agli abusi sessuali”, l’incontro voluto dal Papa “risulterebbe un’operazione grandiosa quanto priva di senso” come “ha ribadito efficacemente nel suo intervento del secondo giorno il cardinale Cupich di Chicago: ‘Nessuno degli elementi strutturali che adottiamo come Chiesa sinodale, per quanto importanti, può guidarci fedelmente in Cristo a meno che non ancoriamo tutti i nostri provvedimenti al dolore penetrante di coloro che sono stati abusati e delle famiglie che hanno sofferto con loro”. Per un cattolico, conclude Monda, “viene prima la metanoia, la conversione, e poi le procedure più o meno efficaci, altrimenti si cade nel rischio paventato da Papa Francesco” nel discorso ai vescovi del Centroamerica del “funzionalismo ecclesiale” che “rappresenta una caricatura e una perversione del ministero”.

A incontro abusi in Vaticano, “invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha”

“Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha”. Lo ha detto, a braccio, il Papa, intervenuto oggi nell’Aula nuova del Sinodo dopo aver ascoltato la relazione di Linda Ghisoni, sottosegretario per la Sezione per i fedeli laici del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, e una sua risposta ad una delle domande pervenute dall’assemblea, al termine della sessione pomeridiana della seconda giornata di lavori in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”. “Pensare anche la Chiesa con le categorie di una donna”, l’invito finale di Francesco, che ha esordito con un omaggio alla relatrice: “Ascoltando la dottoressa Ghisoni ho sentito la Chiesa parlare di se stessa. Cioè tutti noi abbiamo parlato sulla Chiesa. In tutti gli interventi. Ma questa volta era la Chiesa stessa che parlava”. “Non solo una questione di stile”, ha puntualizzato Francesco nel suo primo intervento a braccio alla “tre giorni” in corso fino a domenica: “Il genio femminile che si rispecchia nella Chiesa che è donna”. “Invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico, perché alla fine ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna”, ha specificato il Papa sgombrando ogni equivoco sul suo modo di intendere la questione femminile nella comunità ecclesiale: “Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha. E questo credo che sia il passo che noi dobbiamo fare con molta forza: la donna è l’immagine della Chiesa che è donna, è sposa, è madre. Uno stile”. “Senza questo stile parleremmo del popolo di Dio ma come organizzazione, forse sindacale, ma non come famiglia partorita dalla madre Chiesa”, la tesi di Francesco, secondo il quale “la logica del pensiero della dottoressa Ghisoni era proprio quella di una madre, ed è finita con il racconto di cosa succede quando una donna dà alla luce un figlio. È il mistero femminile della Chiesa che è sposa e madre”. “Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa – sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema – si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero”, ha ribadito il Papa: “E pensare anche la Chiesa con le categorie di una donna. Grazie per la sua testimonianza".

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir