Il ministro Tria
Boccata d’aria

Forse la campagna elettorale è davvero finita, ora che il neo ministro dell’Economia Giovanni Tria ha parlato (con Federico Fubini sul Corriere), e la sensazione è quella di aver rimesso i piedi a terra. Se il «cambiamento» è quello di Tria, certo non è una rivoluzione, a cominciare dalla fede nell’euro affermata fin troppo (excusatio non petita?), e rafforzata dall’impegno a non consentire neppure le premesse di un’uscita. Più in generale, ci sono espressioni prudenti, che certo non infiammeranno le piazze, ma forse troveranno eco in quella milanese degli Affari.

Sui temi generali, lo stile, se il ministro non si offende, un tempo si sarebbe anzi definito «doroteo». La Grecia ci sorpassa in affidabilità dei titoli a breve? Ebbene, «la situazione è complessa in generale». Gli investitori fuggono (48 miliardi usciti dall’Italia in un paio di settimane)? «Sono normali interrogativi che accompagnano una transizione politica». Danno noia le dichiarazioni un po’ estremiste? «All’avvio di un Governo, un dibattito politico vivace è normale». Insomma, fiumi di lenimenti vari, dopo l’aceto di settimane molto calde.

Ma non si creda che Tria sfugga ai nodi più importanti, perché il suo pensiero è oggettivamente chiaro, anche a costo di spiazzare qualche euforia dei colleghi di Governo. Quando l’intervistatore gli fa notare che in tre giorni sono già stati spesi 12 miliardi per l’Iva, 5 per le pensioni, 2 per i centri dell’impiego, più la flat tax, risponde che «non è serio indicare numeri prima di un riesame complessivo».

Giudizio sulle politiche economiche e finanziarie del passato. Per lo storytelling populista sono state un disastro, per Toninelli un fallimento. Tria ricorda invece che «negli ultimi 25 anni l’Italia ha avuto un avanzo primario» record in Europa. «Non ci si può accusare di politiche di bilancio avventurose». Nessun accenno al deficit, da far schizzare da meno del 2 al 3%. E niente deficit spending a gogo.

Rapporto con l’Europa. Sono ben note le promesse: pugni sul tavolo anziché cappello in mano. Tria non è di questo avviso: «In Europa si discute, non si minaccia. L’Italia dovrà chiarire le proprie ragioni ma anche considerare quelle degli altri». Cosa c’è di più ragionevole? E ancora: giudizio sui «burocrati» di Bruxelles. Qui, il ministro dell’Economia entra a gamba tesa riconoscendo il diritto-dovere dell’Ue di dare indicazioni ai Paesi membri. Tria afferma infatti: «Quanto alla vigilanza sulle economie, la Commissione Ue ha fatto un ottimo lavoro». Lo dice per criticare la proposta tedesca di una specie di Fondo monetario europeo, ma si è mai sentito un argomento del genere nei talk show tv? Altro punto, la legge Fornero. Era il male assoluto, il provvedimento da abolire il 5 marzo mattina. Ora il giudizio del ministro del governo gialloverde è: «Credo che la nostra legislazione pensionistica possa essere migliorata, ma lo si farà con attenzione alla sostenibilità, anche quella di lungo termine». Sembra di sentir parlare Elsa Fornero in persona. Ma c’è di più: «Su queste materie non si improvvisa». Parole sante.

Condono fiscale, ribattezzato «pace fiscale». Su questo si regge l’avvio della flat tax. Si ipotizzano 35 miliardi per fronteggiare all’inizio i 50 miliardi di minor entrata, in attesa che parta il circuito virtuoso. Tria sembra più propenso a credere a chi ha misurato in massimo 5 miliardi i possibili introiti.

Grandi opere. Tria le colloca nel capitolo investimenti pubblici da rilanciare «per rafforzare la competitività del Paese», senza preoccuparsi di risorse finanziarie aggiuntive. A suo avviso, prima di chiamare l’Europa per averle, bisogna dimostrare di saper superare i nodi amministrativi. E auspica una task force, sperando – aggiungiamo noi - che non ne facciano parte Bagnai e Borghi, quelli dei 250 miliardi di debito da non restituire.

Mini Bot. Qui glissa: meglio garantire pagamenti veloci della Pubblica amministrazione: «Con soluzioni tampone non si risolve nulla».

Alt alla riforma delle Popolari e delle Bcc? (annunciato a sorpresa dal premier Conte al Senato): «Il tema non è stato trattato». Piuttosto, visto che si parla di banche, anziché tradurre lamentele in illusioni, ricorda che «passi avanti ci sono stati» e «le sofferenze sono diminuite». Insomma, una piccola boccata d’aria, e conforta il fatto che in due pagine di giornale non figuri mai la parola «contratto».

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