Xi Jinping è arrivato ieri a Riad, dove domani parteciperà al primo vertice tra la Cina e i paesi arabi, di particolare interesse in una fase di transizione geopolitica nella regione mediorientale, dalla quale gli Stati Uniti si stanno parzialmente disimpegnando, per concentrarsi maggiormente sull’Asia-Pacifico.

Alla vigilia del summit, il ministero degli Esteri ha pubblicato un rapporto sulla cooperazione sino-araba nella nuova era.

Pechino non mira a riempire alcun vuoto di potere, sostiene il documento nel tentativo di rassicurare chi a Washington è convinto del contrario.

Tuttavia lo stesso rapporto delinea relazioni sempre più strette, che includono la comune lotta contro il fondamentalismo islamico, l’impegno della Cina per una soluzione negoziale delle tante questioni di sicurezza dell’area (Palestina, Libia, Siria, Sudan, Yemen), 12 “partnership strategiche” con altrettanti paesi arabi, 20 accordi bilaterali e oltre 200 progetti energetici e infrastrutturali nel quadro della nuova via della Seta (Bri), della quale nel 2021 l’area medio oriente-nordafrica (Mena) ha ricevuto il 28,5 per cento degli investimenti complessivi.

Mondo multipolare

Prima di Xi, era arrivato nella penisola Joe Biden. L’Arabia Saudita ha con gli Stati Uniti un’alleanza pluridecennale basata sullo scambio fra greggio e sicurezza: gli Usa acquistano (oggi meno che in passato) il petrolio saudita (e sono ben rappresentati nel consiglio di amministrazione del colosso di stato Saudi Aramco); i reali fanno il pieno di armamenti statunitensi.

Eppure la guerra in Ucraina ha causato crepe e tensioni, con Biden che – nella sua visita a Riad del luglio scorso – ha preteso un rialzo della produzione di greggio per frenare l’inflazione, ha tentato di coinvolgere gli arabi in un’alleanza anti Iran e ha sollevato con Mohammed bin Salman la questione dell’omicidio del dissidente e giornalista Jamal Khashoggi (di cui il principe saudita è considerato il mandante). Respinto su tutti i fronti.

Riad e Abu Dhabi inoltre non hanno condiviso l’allarme del presidente Usa sull’espansione della Cina in medio oriente, né si sono schierate contro la Russia (membro del cartello dei produttori Opec+).

Il fatto è che, ha dichiarato il mese scorso il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, «per la nostra sicurezza e prosperità economica non vogliamo dipendere soltanto da uno o due paesi, ma intraprendere relazioni equilibrate e diversificate».

Musica per le orecchie di Pechino che, alla vigilia del viaggio di Xi, ha celebrato l’amicizia sino-saudita con la retorica della «costruzione di una comunità dal futuro condiviso Cina-stati arabi».

Il segretario generale del Centro di ricerca sino-arabo sulle riforme dell’università di studi internazionali di Shanghai, Wang Guangda, ha sostenuto sul Global Times che «i paesi arabi si sono stancati dell’arroganza dell’occidente».

Secondo Wang, «proprio come ha detto Mohammed bin Salman quando ha incontrato il presidente Usa Biden a luglio, l’unico modo per lavorare insieme è rispettare i valori e la sovranità reciproci».

Oltre che su interessi economici, il rafforzamento dei rapporti tra Pechino e le petromonarchie si basa sulla reciproca aspirazione a un mondo multipolare in cui la sovranità statale non conosca limiti e il principio di non ingerenza metta al riparo da critiche perfino chi – come i sauditi –  uccida un giornalista in un consolato.

Per Pechino i paesi dell’area sono non solo partner commerciali sempre più importanti (nel 2021 l’interscambio ha toccato i 330 miliardi di dollari, +37 per cento rispetto all’anno precedente).

La cooperazione a 360 gradi con una regione tradizionalmente turbolenta mira a promuoverne la stabilità, funzionale agli obiettivi di lungo termine di Pechino. Per il suo sviluppo la Cina avrà bisogno anche di idrocarburi.

Attualmente, il 70 per cento del suo greggio proviene dall’estero. Di queste importazioni la metà arriva dal medio oriente e la quota maggiore (il 17,1 per cento) dall’Arabia Saudita.

Nel marzo scorso Saudi Aramco ha annunciato un investimento multimiliardario in una raffineria nel nordest della Cina, che si aggiunge al consorzio con l’azienda di stato Sinopec nella provincia sudorientale del Fujian. QatarEnergy ha appena firmato un accordo di 27 anni per la fornitura di gas naturale liquefatto alla cinese Sinopec.

L’allargamento della Sco

D’altro canto, grazie alla cooperazione con la Cina i paesi arabi stanno progredendo nel passaggio dall’energia tradizionale a quella pulita. Ad Al Dhafra (Abu Dhabi) la China Machinery Engineering Corp sta realizzando il più grande impianto fotovoltaico del mondo che dovrebbe liberare l’emirato dal fardello di 2,4 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica all’anno.

Il 1° ottobre scorso il Qatar ha inaugurato la centrale di Al Kharsaah, la prima non alimentata da combustibili fossili, costruita (con un investimento di 417 milioni di dollari) da una joint venture tra Total, Marubeni e tre compagnie cinesi, e in grado di generare il 10 per cento dell’energia consumata dal paese arabo.

La Cina ha avuto un ruolo importante anche nei mondiali di calcio, dalla costruzione dello stadio di Lusail e altri impianti, agli sponsor che hanno investito 1,4 miliardi di dollari (contro gli 1,1 miliardi di dollari di quelli Usa) alla fornitura di un migliaio di bus elettrici del leader globale Yutong e di milioni di souvenir.

Tra i temi al centro degli incontri che Xi avrà con i leader arabi c’è la Shanghai cooperation organization (Sco) a guida sino-russa, nella quale l’Arabia Saudita, paese “partner” (come l’Egitto e il Qatar) punta ad elevare il suo status a quello di “osservatore”, propedeutico all’ingresso formale.

L’Iran il mese scorso ha approvato una legge per entrare nella Sco. L’accesso di Tehran (ed eventualmente di Riyadh) in quella che in occidente era stata approssimativamente definita la “Nato dell’est” darebbe vita a una Sco ancora più piena di produttori di materie prime energetiche, più influente politicamente e rafforzerebbe l’asse Cina-Russia-Iran.

L’Iran risulterebbe molto meno isolata nel consesso internazionale, mentre si ridurrebbe il dominio del dollaro nelle transazioni delle materie prime energetiche, nelle quali lo yuan e il rublo potrebbero avere un ruolo più importante.

Secondo l’ex viceministro cinese del commercio, Wei Jianguo, molti stati del Golfo Persico vogliono discutere con la Cina di possibili accordi petroliferi denominati in yuan e di come affrontare la crisi energetica globale.

© Riproduzione riservata