Irlandese per nascita, cittadina del mondo per vocazione, Dervla Murphy ha esplorato gli angoli più sperduti della Terra scegliendo quasi sempre di viaggiare in bicicletta o a piedi, e quasi sempre da sola, affidandosi alla gentilezza delle persone incontrate lungo la strada. Il risultato? Una vita piena di avventure e oltre 25 appassionanti libri di viaggio.

Dervla nasce il 28 Novembre del 1931 a Lismore, nella contea di Waterford. I genitori provengono da Dublino e si sono trasferiti nell’Irlanda del Sud quando il padre è stato nominato bibliotecario. Dervla ha solo un anno quando la madre si ammala di artrite reumatoide e le viene sconsigliato di avere altri figli. Resta figlia unica e crescendo si occupa della madre inferma. Ma già da bambina sogna di viaggiare.

Chi è Dervla Murphy, la viaggiatrice irlandese che è arrivata in India in biciclettapinterest
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“Per il mio decimo compleanno i miei genitori mi regalarono una bici di seconda mano e il nonno mi spedì un atlante usato. Ero già una ciclista entusiasta ma non avevo mai posseduto una bicicletta e subito dopo il mio compleanno decisi che un giorno avrei pedalato fino in India. Non ho mai dimenticato il luogo esatto in cui presi questa decisione, su una ripida salita vicino a Lismore. A metà strada guardai con orgoglio le mie gambe che spingevano lentamente i pedali e pensai “Se lo faccio abbastanza a lungo posso arrivare in India.”

Frequenta la scuola dalle Orsoline ma a 14 anni abbandona gli studi per occuparsi della madre ormai disabile. Non rinuncia però a brevi viaggi: in Galles e Inghilterra del Sud nel 1951, in Belgio, Germania e Francia l’anno dopo, in Spagna nel 1954 e nel 1956. Inizia a pubblicare articoli di viaggio sui giornali. Sa già che è quella la sua strada, anche se le circostanze della vita non le permettono di andare troppo lontano.

Nel 1958 muore il suo primo amore, Godfrey, e si ammala anche il padre, che la lascia tre anni dopo. Nel 1962 perde la madre. Più niente la trattiene a Lismore. È ora di partire: dall’Irlanda all’India in bicicletta per mantenere una promessa che si era fatta da bambina.

“Le difficoltà e la povertà della mia giovinezza sono stati un buon apprendistato per questo modo di viaggiare. Sono stata educata a comprendere che i beni materiali e il benessere fisico non dovrebbero mai essere confusi con successo, realizzazione e sicurezza.”

Dall’Irlanda all’India in sella a una bici

Nel 1963 parte in sella a una Armstrong Cadet battezzata Ronzinante come il cavallo di Don Chisciotte e presto chiamata affettuosamente Roz. Attraversa l’intera Europa. In Bulgaria viene attaccata da un branco di lupi e la pistola che porta con sé le salva la vita. Le torna utile anche in Iran per mettere in fuga una banda di ladri e per sfuggire a un tentativo di stupro in Azerbaijan.

Si innamora perdutamente dell’Afghanistan e si definisce “Afghanatical”. In Pakistan visita le montagne del Gilgit e la zona dello Swat dove è ospite dell’ultimo wali, Miangul Aurangzeb. Infine raggiunge il Punjab e attraversa il confine con l’India diretta a Delhi. Il diario del viaggio fino a qui, durato 7 mesi, diventa un libro pubblicato nel 1965 e intitolato Full Tilt: Ireland to India with a Bicycle.

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Dopo l’arrivo a Delhi lavora come volontaria per Save the Children occupandosi dei rifugiati tibetani. Trascorre 5 mesi nel campo di Dharamsala gestito da Tsering Dolma, sorella del 14° Dalai Lama. Poi torna in sella e raggiunge la valle di Kullu trascorrendo il Natale a Malana. Nasce così il secondo libro, Tibetan Foothold. Al ritorno in Europa Dervla continua a collaborare con Save the Children e nel 1965 torna in Nepal, a Pokhara, per occuparsi ancora di rifugiati tibetani. Questo soggiorno sarà descritto in The Waiting Land.

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In Etiopia con il mulo Jock

L’anno dopo cambia orizzonte e parte per il primo viaggio in Africa che racconta nel volume In Etiopia con un mulo. Attraversa l’intero paese a piedi da Asmara a Addis Abeba in compagnia del fedele mulo Jock. Dorme nei tucul di fango e paglia dei villaggi lungo la strada, subisce un furto e rischia di essere uccisa dagli shifta, i banditi che infestano gli altipiani, scala montagne, discende dirupi, attraversa paludi, combatte contro cimici e pulci. Soprattutto sperimenta la gentilezza di sconosciuti che non hanno mai visto una faranji, una straniera, viaggiare da sola.

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Solo di rado si concede qualche notte in hotel quando il suo cammino attraversa una città ma ogni volta non vede l’ora di allontanarsi, tornare nella natura selvaggia, affidarsi all’ospitalità dei locali. Le interessa raccontare il mondo dal punto di vista delle persone comuni che lo abitano perciò dorme sui loro pavimenti, mangia il cibo che condividono con lei, si disseta con la talla (una birra etiope fatta in casa) quando gliela offrono.

“Fu davvero molto speciale. Non solo il paese era incredibilmente bello ma anche antico, fuori dal mondo, quasi del tutto immutato. Per tre settimane sono stata in una zona talmente remota che le persone non usavano neanche il denaro” racconta in un’intervista. Il suo è un viaggio nel tempo, non solo attraverso lo spazio geografico. “Anche un fugace sguardo su ciò che eravamo è prezioso per aiutarci a capire chi siamo” scriveva già in Full Tilt.

Deve imporsi una sosta quando nasce Rachel, avuta dal giornalista Terence de Vere White. Nell’Irlanda degli anni 60 decide coraggiosamente di non sposarsi e crescere sua figlia da sola. In questi anni, costretta alla stanzialità, scrive l’autobiografia Wheels within Wheels che pubblica nel 1979 e racconta la sua vita fino ai 31 anni, prima del viaggio in India.

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In viaggio con una bambina

Rachel ha solo 5 anni quando Dervla la porta con sé in viaggio. È ancora l’India la meta prescelta. Arrivano in volo a Bombay e poi viaggiano fino a Goa e Coorg. Il libro che racconta questa avventura si intitola On a Shoestring to Coorg. L’espressione “on a shoestring” indica un’impresa compiuta con una disponibilità di denaro molto ridotta. È una caratteristica di tutti i viaggi di Dervla. In India in bicicletta era arrivata spendendo appena 67 sterline per l’intero viaggio.

Madre e figlia viaggiano in seguito nel Baltistan, in Peru, in Madagascar e in Camerun, dove spesso Dervla viene scambiata per il marito di Rachel. Non è la prima volta che la viaggiatrice viene presa per un uomo, era successo spesso anche in Etiopia. Era inconcepibile che una donna viaggiasse da sola in condizioni di estremo disagio in territori desolati. Ciascuno di questi viaggi viene raccontato puntualmente in un libro. E ogni libro permette a Dervla di finanziare il viaggio seguente.

In molti non approvano la scelta di viaggiare così con una bambina ma secondo lei “la presenza di un bambino sottolinea la tua fiducia nella benevolenza della comunità. E poiché i bambini prestano scarsa attenzione alle differenze razziali e culturali, la loro compagnia demolisce rapidamente le barriere di timidezza o preoccupazione che spesso si sollevano quando uno straniero arriva inaspettatamente in un villaggio remoto”.

Quando Rachel ha 9 anni Dervla la porta con sé sulle Ande Peruviane. Percorrono a piedi, con l’ausilio di un mulo, un itinerario che pochi viaggiatori avevano osato affrontare. “La gente pensava fosse una follia partire con un equipaggiamento minimo verso una zona del paese priva di strade, ospedali e servizi. Ma è proprio per quello che eravamo lì”.

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L’impegno politico

Il 1978 la porta non lontano da casa, nell’Irlanda del Nord, dove parla con membri delle comunità cattoliche e protestanti e si occupa dei problemi dell’IRA. Il padre nel 1918 era stato in prigione per 3 anni per averne sostenuto le ragioni. Sono anni di impegno politico. Nel 1985 vive per alcuni mesi a Bradford e Birmingham dove incontra le comunità asiatiche e afro-caraibiche e racconta le sommosse del quartiere di Handsworth.

Due settimane dopo la caduta del regime di Ceaucescu corre in Romania. Desidera vedere il paese all’indomani del cruciale cambiamento e lo racconta in Transylvania and Beyond. Nel 1992 registra il viaggio in bicicletta in Kenya e Zimbabwe nel libro The Ukimwi Road, racconta le conseguenze dell’apartheid in South from the Limpopo, il genocidio del Ruanda in Visiting Rwanda, il dislocamento forzato delle popolazioni tribali del Laos in One Foot in Laos. Percorre anche i Balcani subito dopo la guerra e riferisce quel che vede in Through the Embers of Chaos.

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Nel 2002, a 71 anni, pianifica un viaggio in bicicletta nell’Ussuriland, una regione all’estremo est della Russia, ma un infortunio al ginocchio la costringe a fermarsi sulle rive del lago Baikal dove decide di cambiare piano: percorre la Siberia in treno, bus e barca e documenta il viaggio in Through Siberia by Accident. Una seconda visita, stavolta in pieno inverno, dà vita alle pagine di Silverland.

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Da Cuba alla Palestina, le ultime avventure

Il 2005 è l’anno di un viaggio a Cuba con la figlia e le tre nipoti ancora bambine. Ci tornerà nel 2006 e nel 2007 e descriverà i suoi soggiorni nel libro The Island that Dared. Nell’estate del 2011 si reca nella striscia di Gaza dove parla con palestinesi e israeliani e prova a comprendere l’intricata situazione nei libri A Month by the Sea e Between River and Sea.

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Il libro sull’ultimo viaggio in Giordania dubita che riuscirà a completarlo per colpa dei problemi di salute che non le consentono più di dedicarsi a lungo al lavoro. Né di intraprendere nuovi viaggi. Si è ritirata nella sua strana casa di Lismore, un ex-mercato dove per passare da una stanza all’altra bisogna uscire in cortile. È qui che è sempre tornata, non ha mai pensato di trasferirsi altrove. Ci vive con 5 cani e 3 gatti e conduce una vita spartana senza tv, telefonino né riscaldamento centralizzato. Si è arresa a un computer per necessità ma scrive ancora a mano o su una vecchia macchina da scrivere.

A chi le chiede dove abbia trovato il coraggio di intraprendere certe avventure risponde che non serve coraggio ma curiosità e fiducia nelle persone. “Ho imparato che la maggior parte delle persone è disponibile e degna di fiducia… se ti senti sicuro, e ti fidi delle persone, ciò determina il tuo atteggiamento – e le persone si rendono conto che ti fidi di loro e reagiscono trattandoti bene.”

Minimizza quando si parla dei pericoli che ha corso e precisa che non ha mai aspirato a raggiungere obiettivi da esploratore, ha viaggiato solo per il proprio piacere. La lista degli incidenti con cui ha dovuto fare i conti è lunga: brucellosi in India, dissenteria in Pakistan, epatite in Madagascar, un febbrone per il morso di una zecca in Sudafrica, la frattura di un piede in Romania, l’infortunio al ginocchio in Siberia, l’intervento a un’anca per una caduta in Palestina. Per non parlare dei banditi, della polizia corrotta, dei furti, dei dirupi in cui ha rischiato di precipitare. Ma se le chiedi quale sia stato il peggiore ti parla di un ascesso ai denti in Camerun.

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Nel 2016 è uscito un documentario di Garret Daly e Martina McGlynn che racconta la sua storia e si intitola Who is Dervla Murphy? La risposta può essere complessa come lo è sempre una persona, ma anche semplice: una grande viaggiatrice.

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