Bindu e Kanaka hanno fatto la storia: per la prima volta due donne in età fertile hanno scalato a piedi nudi i 18 scalini che conducono al tempio hindu di Sabarimala, nello stato indiano del Kerala, e sono entrare nel Sanctum Sanctorum, la stanza più sacra, per rompere un tabù secolare: il contatto visivo d’una femmina potenzialmente mestruata con il dio Ayyappa, figlio di Shiva e dell’avatar femminile di Vishnu, giovane, bellissimo, celibe, versato nello yoga, venerato ogni anno da milioni di pellegrini (maschi), compresi buddhisti e musulmani. Il Darsham dello scandalo è avvenuto nel cuore della notte. Pochi secondi che stravolgono un mondo.

Ci avevano già provato una volta, Bindu e Kanaka: dopo il lungo digiuno rituale, vestite di nero come impone la tradizione, forti d’una sentenza che la Corte suprema ha emesso nel settembre 2018 per ricordare che la costituzione indiana si fonda sull’uguaglianza di genere e nessuno può chiamarsene fuori per ragioni di fede e d’identità, il 24 dicembre s’erano messe in cammino. Ma le proteste violente dei fondamentalisti hindu e dei militanti delle destre nazionaliste le avevano costrette a tornare indietro.

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Bindu Ammini (al centro a destra), 42 anni, e Kanaka Durga (a sinistra), 44, vengono scortate dalla polizia dopo aver tentato di entrare nel tempio di Sabarimala, nel sud del Kerala, in India.

Ce l’hanno fatta, questa volta, con la protezione della polizia, ma sopratutto grazie alla scorta ideale e specialissima di decine di migliaia di donne indiane che il giorno prima avevano formato lungo le strade del Kerala una catena umana lunga 620 chilometri. Donne hindu, musulmane, cristiane, credenti e attiviste laiche, unite nella battaglia per veder applicato il principio costituzionale della parità di genere. È una storia, questa, che sta dividendo il pacifico e tollerante Kerala, stato comunista dell’India del Sud dove il fondamentalismo fatica ad attecchire, eppure all’impresa di Bindu e Kanaka hanno fatto seguito violentissimi scontri di strada e un migliaio di arresti.

Ed è una storia destinata a durare, perché interroga trasversalmente le coscienze e incarna il più attuale, universale e doloroso tra i conflitti: da una parte la tradizione, i riti secolari, le cose come si sono sempre fatte e tramandate, in altre parole l’identità; dall’altra la legge, la globalizzazione dei diritti conquistati e riconosciuti, il cambiamento necessario, in altre parole il politicamente corretto.

I guardiani del tempio dedicato a Lord Ayyappa hanno reagito facendo ciò che la fede imponeva loro di fare: dopo la visita delle “impure” signore potenzialmente mestruate hanno chiuso il sanctorum per procedere con le purificazioni rituali, liberando dall’offesa anche un libro tantrico di 500 anni. Ma pure la Corte suprema tiene il punto. In un Paese che ha formalmente abolito le caste, ricorda, tutti sono uguali e nessuno impuro, dunque anche i riti di purificazione sono in questo caso anticostituzionali.

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La catena umana della protesta delle donne indiane.

Mentre Bindu e Kanaka sono state trasferite in una località segreta, e una terza donna è riuscita a stabilire il contatto visivo con Ayyappa, nelle strade e sui social impazza il dibattito. I fondamentalisti hindu accusano d’ingerenza in questioni di fede il governo comunista, e d’ingerenza nella fede altrui i cristiani e i musulmani. Molti, anche tra i laici, ricordano che se il tempio di Sabarimala è da sempre interdetto alle donne tra i 10 e i 50 anni, ve ne sono altri chiusi ai maschi «e nessuno se n’è mai lamentato». Argomenti che la maggioranza degli indiani considera ragionevoli, eppure già destinati a essere perdenti: se le tradizioni le hanno scritte e tramandate i maschi, è alle donne che tocca ora il compito coraggioso di romperle.