A fine agosto, la polizia di Pune, città nello Stato del Maharashtra in India, ha disposto una serie di raid nelle abitazioni di diversi attivisti per i diritti umani impegnati nella difesa delle donne e delle comunità dalit e adivasi (i "tribali" autoctoni del subcontinente). Tra gli arrestati, anche l’avvocatessa per i diritti umani Sudha Bhardwaj, portavoce della battaglia femminista in tutto il Paese. La sua carcerazione è stata uno degli input che hanno portato all'organizzazione a Dehli della Women March for Change, a cui hanno partecipato collettivi femministi ma anche associazioni di studenti, insegnanti, gay e transgender. Una marcia pensata "per sollecitare il voto delle donne per i loro diritti, contro la violenza e gli stupri, e per dire basta alla politica dell'odio e all'attacco alla libertà e alla democrazia in corso nel nostro paese", come spiegato all'Ansa dall'attivista Shabhana Hasmi. Nello stesso clima di women empowerment, ecco arrivare un'altra good news sulla battaglia delle donne indiane per l'emancipazione femminile. Come riporta Women In The World, la Corte suprema indiana ha ammesso una petizione presentata da una coppia islamica che chiede di riconoscere il diritto delle donne musulmane di pregare nelle moschee di tutto il Paese.

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In modo analogo lo scorso settembre, la Corte Suprema aveva abolito lo storico divieto di ingresso alle donne tra i 10 e i 50 anni nei tempi indù perché in età fertile e per questo considerate impure (decisione che continua ad essere motivo di scontri anche violenti da parte dei tradizionalisti). La richiesta è stata presentata da Yasmeen Peerzade e dal marito Zuber Peerzade che si sono appellati al massimo organo giudiziario del Paese per abolire la pratica centenaria che impedisce alle donne musulmane di accedere ai luoghi di culto (in alcune moschee più "aperte" possono farlo ma solo da un ingresso secondario). "Il Corano non fa differenze tra uomo e donna. Parla solo di fede. L’islam però è diventato una religione che opprime le donne", hanno dichiarato Yasmeen e Zuber, supportati da Zakia Soman, cofondatrice dell’associazione femminile Bmma. "È una bella notizia. La coppia ha chiesto alla Corte di riconoscere il diritto delle donne di entrare in moschea. Questo è valido per le norme religiose e risponde al principio di uguaglianza. Sono a favore di entrambe le cose", ha detto l'attivista ad AsiaNews, che specifica che la parola ora passa al governo centrale, all’All India Muslim Personal Law Board (l’organizzazione sul diritto personale islamico) e il Central Wakf Council (che si occupa delle proprietà mobili e immobili islamiche).

Ad oggi, in India l’ingresso alle donne è consentito solo nelle moschee dell’organizzazione Jamaat-e-Islami e con la denominazione Mujahid (sempre da una galleria sul retro), mentre è proibito in quelle della fazione sunnita. "Chi lo ha deciso? Tutti i luoghi di culto devono essere aperti alle donne senza fare discriminazioni", ha continuato Zakia. "I leader religiosi conservatori e con mentalità patriarcale devono aprire gli occhi e vedere il bisogno di cambiamento. Devono riconoscere i principi d’uguaglianza di genere affermati dalla Costituzione. Non possono continuare a escludere le donne dai luoghi pubblici".

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