Nella loggia di Villa Farnesina a Roma si nasconde uno dei capolavori più ammirati e invidiati di Raffaello, il Trionfo di Galatea, in cui l’urbinate rappresenta la ninfa con un viso delicato e aggraziato che contrasta palesemente con il resto del corpo, muscoloso e rigoglioso, mentre viene trainata da delfini su una conchiglia e tutt’intorno le fanno festa tritoni, nereidi e angioletti. Nella loggia sono presenti altri affreschi di diversi artisti, eppure quello per cui fanno la fila turisti e visitatori è la Galatea di Raffaello.

Trionfo di Galatea: Raffaello e l’affresco per Villa Farnesina

È il 1512 quando il ricco banchiere Agostino Chigi entra nella sua nuova villa “di delizie” che Baldassarre Peruzzi gli costruisce su un terreno circondato da giardini, in una posizione strategica tra via della Lungara e il Tevere. Il Chigi, però, non deve aspettare il completamento della villa per far decorare gli ambienti: le decorazioni pittoriche vanno di pari passo con la costruzione perché vengono effettuate man mano che ogni stanza della villa è pronta. Naturalmente il banchiere non bada a spese e chiama per la sua dimora i migliori artisti di Roma come Sebastiano del Piombo, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, e Raffaello. Quest’ultimo negli stessi anni è già impegnato con gli affreschi in Vaticano per papa Giulio II, per questo accetta di realizzare un solo dipinto a tema mitologico al piano terra della villa. Poiché fin dall’inizio si pensa di dedicare tutta la loggia a Galatea, quello di Raffaello avrebbe dovuto essere il primo di altri affreschi dedicati alla ninfa, ma così non è stato tanto che le altre opere raffigurano scene che non sono legate agli eventi principali del mito. La composizione di Raffaello in passato è stata ritenuta ritoccata o rimaneggiata in più parti anche dall’allievo Giulio Romano, ma dopo i restauri del ‘900 è stata confermata la completa paternità dell’opera all’urbinate.

trionfo di galateapinterest
DEA / A. DE GREGORIO //Getty Images

Trionfo di Galatea: Raffaello e l’ispirazione mitologica

Il Trionfo di Galatea prende spunto dagli Idilli di Teocrito e dalle Metamorfosi di Ovidio nella rivisitazione di Poliziano: il dipinto raffigura, infatti, l’apoteosi della ninfa che cavalca il cocchio a forma di conchiglia trainata dai due delfini. Tutt’intorno a lei si sviluppa un gioioso seguito di tritoni, nereidi e altre divinità marine mentre in cielo tre puttini sono pronti a scoccare le loro frecce verso di lei, che ha lo sguardo fisso proprio sull’angioletto che nasconde la faretra dietro la nuvola, a simboleggiare l’amore platonico. Particolare è la posizione assunta da Galatea, che si presenta già con un fisico scultoreo ma impegnato in una torsione che Raffaello ha già affrontato nel dipinto della Santa Caterina d’Alessandria del 1508. Rifacendosi da una parte a quel dipinto e dall’altra ai modelli antichi, l’artista riesce a ricreare una sorta di nuova classicità, sottolineata anche dall’uso dei colori, cristallini e raffinati, che dimostrano una più che approfondita conoscenza dell’arte romana antica da parte del maestro: a dimostrarlo è la veste che copre Galatea di rosso pompeiano che risalta sul verde marmoreo del mare.

Le figure dai corpi così maestosi ricordano quelle di Michelangelo, mitigate dalla dolcezza naturale che Raffaello sa regalare ai suoi personaggi: Galatea stessa assume un’espressione molto aggraziata. Proprio per il volto della ninfa si è ormai certi che il pittore abbia ripreso le sembianze della sua amante e musa Margherita Luti, la famosa Fornarina, che ha posato anche per la Madonna Sistina e la Velata. I due sembra si siano conosciuti proprio durante gli affreschi di Raffaello a Villa Farnesina, dove Margherita consegnava il pane. Secondo alcuni, Raffaello avrebbe minacciato il Chigi che, se non avesse ospitato la Fornarina nella sua villa per permettere loro di stare insieme, non avrebbe completato l’opera.

trionfo di galateapinterest
Art Images //Getty Images

Trionfo di Galatea: analisi dell’opera

Sempre preciso e dettagliato, anche in questo affresco Raffaello dimostra estrema fedeltà verso l’arte antica riproducendo materiali e tecniche: i restauri recenti hanno dimostrato che il pittore ha utilizzato il blu egizio per colorare cielo, mare e gli occhi della ninfa. Evidentemente Raffaello ha riprodotto il pigmento proprio seguendo le istruzioni vitruviane presenti nel De Architectura: in questo modo ha fatto riscoprire tale colore agli artisti dell’epoca. Oltre al blu egizio, per l’affresco usa anche gialli sintetici, rosa e grigi chiari per conferire al paesaggio toni più freddi sui quali sarebbero spiccati maggiormente quelli caldi usati per la rappresentazione dei personaggi. Nella loggia di Galatea, il vicino affresco di Sebastiano del Piombo trova una sorta di completamento nella composizione di Raffaello: Polifemo, innamorato della ninfa, la vede bella e trionfante allontanarsi da lui che resta ad ammirarla su uno scoglio vicino.