A lezione di moda da Anna Piaggi: nel 2022 è ancora possibile non solo per i suoi incrollabili fan ma anche per tutti i neofiti dei sottogeneri a cui la giornalista e icona di stile ha dedicato la sua carriera. Anna Piaggi ha precorso il vintage, per alcuni lo ha inventato, o meglio canonizzato, dandogli già dagli anni Ottanta quell’accezione contemporanea che si è fatta strada nelle collezioni dei grandi e nelle menti dei nuovi creativi per le decadi successive e che oggi vive un ritorno di fiamma con la generazione Z. Ha studiato, tanto, leggendo e viaggiando, ha incontrato e intervistato le personalità che per tutto il Novecento hanno costruito il corpo del fashion system come lo conosciamo oggi fino a diventare lei stessa una di queste.

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© Renato Grignaschi
Anna Piaggi eKarl Lagerfedl, 1978

Quando nel 1962, trentunenne, sposa a New York il fotografo Alfa Castaldi, la sua carriera è in piena maturazione. Lavora come traduttrice per Mondadori e si avvicina alla moda un po’ per comunione d’intenti con il suo giovane sposo, un po’ perché ama scrivere e soprattutto leggere la società e le sue contraddizioni; la sua penna piace alle pagine mondane, collabora con L’Espresso e con Panorama. Quando a Londra, nel 1967, si imbatte nella bancarella di abiti di seconda mano e archivio di Vern Lambert, le si spalancano le porte verso il futuro del personaggio che sarebbe diventata. Con lui, collezionista e storico, stringe un’amicizia indissolubile, e impara a riconoscere il valore della couture. Dagli abiti del passato capisce la forza pervasiva della tradizione, del fatto a mano, del sartoriale, della modellistica, che sostengono il guizzo delle nuove intuizioni; mischiarli a quelli del suo tempo diventa naturale, come riportarli in vita per dimostrare a se stessa e chi ormai la fotografa in ogni occasione, che quando in un capo o in un accessorio c’è l’impronta del genio, il momento di indossarlo è oltre le epoche o le stagioni. Diventa maestra e regina di styling, inventando esotismi ed esagerazioni difficilmente replicabili. La chiama Vogue, dandole una rubrica nel 1988, le Doppie Pagine, su cui si è formato molto del giornalismo di settore contemporaneo; era sovversiva, irriverente, inquisitoria. Poco prima aveva fondato il suo magazine Vanity, tra le più interessanti avventure editoriali del periodo, dove gli illustratori e i talenti emergenti della fotografia erano di casa.

la mostra dedicata ad anna piaggi alla fondazione sozzanipinterest
Lucas Possieses

Con Carla Sozzani, proprio dai tempi di Chelsea e della swinging London, intreccia legami tra artisti, stilisti e intellettuali, in una sorta di salotto esteso, che troviamo ancora in attività grazie al lavoro dell’Associazione Culturale Anna Piaggi e della Fondazione Carla Sozzani. Proprio qui, nella nuova sede di via Tazzoli 3, è aperta fino al 27 febbraio la mostra Vestiaire Collective x Fondazione Sozzani: State-Of-The-Art Circular Fashion. Evoluzione di quella in corso dedicata alla mitica cronista vista attraverso le illustrazioni di Karl Lagerfeld, sottolinea l’importanza della moda circolare.

la mostra dedicata ad anna piaggi alla fondazione sozzanipinterest
Lucas Possieses

Così, percorrendo gli spazi espositivi, troviamo una selezione degli abiti che sono appartenuti ad Anna Piaggi, da Comme des Garçons a Galliano, da Margiela a Alaïa, insieme ad altri senza etichetta, recuperati chissà dove nel mondo: la sorpresa è proprio che, presi da soli, non tutti sono interessanti e solo grazie al suo tocco, al suo saper mischiare, si animano di energia, comunicano. Ancora, troviamo le polaroid che la ritraggono con Helmut Newton, lo stesso Lagerfeld, che la adorava, Zandra Rhodes e altri giganti suoi coevi. Appunti visivi sulla necessità del vintage, che non è mero vezzo o negazione dell’attuale, ma necessità di trovarsi, darsi una voce e alimentare un circolo virtuoso che possa essere non solo una tendenza passeggera ma una vera e propria rivoluzione.

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Lucas Possieses