Stefano Seletti è l’imprenditore più pop e democratico del design italiano. Classe 1970, visionario del design, è riuscito attraverso le sue intuizioni globali e inclusive a trasformare Seletti, l’azienda di famiglia specializzata nella produzione di complementi d’arredo destinati al mass market, in un’eccellenza nel panorama mondiale, passando con disinvoltura dai mercati rionali delle città italiane al MoMa di New York. Un successo che ha il sapore di una rivoluzione. Lo abbiamo raggiunto in occasione del Salone del Mobile per farci raccontare un fenomeno che racchiude in sé la sua innata capacità di reinventare il vivere contemporaneo, popolandolo di forme e contenuti sempre nuovi.

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Courtesy Luca Rossetti

Partiamo dal manifesto Seletti: "(R)evolution is the only solution". Che cosa significa essere rivoluzionari oggi?

Significa essere contemporanei. In un mondo in continuo cambiamento, in cui lo sviluppo della tecnologia influisce radicalmente anche in termini di costumi, dobbiamo essere pronti a cambiare, a rivoluzionare il nostro stile di vita. E anche i prodotti di arredamento devono necessariamente seguire questa evoluzione tecnologica. Ad esempio, noi ci sediamo su un divano in modo totalmente diverso rispetto ai nostri genitori, che lo usavano per conversare, perché sono diverse le cose che facciamo, lo concepiamo come un oggetto su cui stendersi per guardare serie tv, mangiare, usare il tablet. Essere rivoluzionari significa anche avere un pizzico di umorismo in quello che si fa.

Sei riuscito a trasformare un’azienda italiana di complementi d’arredo economici in un’eccellenza del design. Come spieghi questo successo?

È stata proprio questa scuola legata al mass market a darmi una grandissima formazione. Fin da subito mi sono dovuto confrontare con la sfida di incontrare il gusto di tante persone.

Dove nascono le idee vincenti in un momento in cui il mondo gira molto velocemente? Come ti avvicini a un nuovo progetto?

Per anni sono stato davvero molto curioso, ho girato il mondo, sfogliato tutti i magazine possibili di design, ho navigato su internet alla ricerca di riferimenti, spunti, idee. Oggi invece potrei dire che l’ispirazione la cerco più dentro me stesso, all’interno del mio nucleo familiare, oltre a trarre stimoli e spunti preziosi ogni giorno dai miei compagni di viaggio, come Maurizio Cattelan, Pierpaolo Ferrari, Job Smeets e molti altri.

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Courtesy Seletti
Seletti wears Toilet Paper

In che modo i progetti firmati Seletti riflettono il nostro tempo?

Sono un’evoluzione del design. Soprattutto di quel design che ha dettato le regole dell’ultimo ventennio. Il fatto che io collabori con molti creativi che non appartengono alla tradizionale categoria di designer lo lascia intuire, perché quello di Seletti è un approccio che lascia molta più libertà, si svincola dalle regole dettate dal design accademico concedendo più spazio.

Ti senti più imprenditore o più creativo?

Un imprenditore creativo.

Quando sei entrato nell’azienda di tuo padre eri adolescente. Cosa significa iniziare a lavorare a 17 anni?

A 17 anni ho avuto la possibilità di conoscere il mondo asiatico, di immergermi in una società che stava vivendo ancora come la generazione precedente alla mia. Ho avuto la fortuna di girare il mondo e vedere culture ed esperienze generazionali differenti. Questo mi ha aiutato molto e aperto.

Qual è il ruolo del design oggi?

Dare una formazione legata ai principi di base che sono sicuramente molto importanti, ma allo stesso tempo fare il possibile per stimolare la creatività in maniera non convenzionale. Bisogna sovvertire anche in parte le regole che si stanno indicando come corrette. È importante cercare strumenti che possano trasformare la disciplina, è la famosa (r)evolution di cui parlavamo prima.

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Courtesy Seletti
Tappeto rotondo Eye&Mouth

Quale rapporto lega Seletti all’arte contemporanea? E come nascono le collaborazioni con designer e artisti?

Seletti prende spunto dall’arte contemporanea ma rimangono due entità chiaramente differenti, non vanno confuse. Il design non può svincolarsi da una funzione, dalla serialità, mentre l’arte è totalmente libera da canoni funzionali e quantitativi.

Come è nata la collezione Toilet Paper e la collaborazione con Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari?

Le mie collaborazioni nascono spesso soprattutto dalle amicizie, si scoprono con il tempo delle affinità che portano allo sviluppo di progetti insieme. Con Maurizio e Pierpaolo è stato così, è nata prima l'amicizia e solo dopo qualche anno abbiamo iniziato a collaborare.

Proporre creazioni innovative e democratiche è una scelta strategica o creativa?

Le due cose non si possono scindere. È l’unica strategia che un’azienda come Seletti poteva permettersi. Le tante trasformazioni che ha subito sono state una strategia da una parte, ma anche un obbligo. Seletti non può per sua natura competere, per capacità e conoscenza, con le storiche aziende del design e ho dovuto cercare vie alternative per far evolvere il mercato. È così che sono nate tutte le nostre collezioni più originali. Intercettare gli spazi del mercato inventando nuove strade è una strategia indispensabile per un’azienda che ha come obiettivo quello di inserirsi in nuovi settori.

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Courtesy Seletti

C’è un un oggetto Seletti a cui sei particolarmente legato?

La novità a cui sto lavorando è sempre quella che più mi appassiona, mi innamoro e mi lego sempre di più al progetto che sto sviluppando, pur sapendo che questo amore sarà inevitabilmente tradito con il progetto successivo.

Tre anni fa Seletti ha dato vita al Design Pride, una street parade al Salone del Mobile. Qual è la vostra prossima sfida?

Far crescere il Design Pride, magari esportandolo in altre Design Week del mondo.