Nella storia del cinema esiste un prima e dopo il Padrino, ed è un dato di fatto tanto inequivocabile quanto per parte della critica anche forse addirittura limitante, visto che a 50 anni esatti dall'uscita del capolavoro firmato da Francis Ford Coppola, la mafia continua ad essere una creatura cinematograficamente ammaliante. Fu troppo gigantesca la costruzione narrativa, troppo titanici i personaggi, la loro espressività e connotazione, il loro farsi carico di una visione della società, ma più ancora di drammi universali, connessi alla tragicità di Shakespeare e persino di Omero. Di fatto quel film andò ben oltre a come registi quali Becker o Hawks avevano parlato di crimine. In quel 1972 il mondo si accorse dei Mafia Movies, un sottogenere che con il tempo sarebbe diventato di base un mondo a sé stante, dominato da noi, dagli italoamericani. Grazie a Coppola, nonché a Scorsese, De Palma e tanti altri, inevitabilmente siamo stati da quel momento connessi ai ben poco encomiabili compatrioti affiliati a Cosa Nostra. Il cinema americano avrebbe elevato a mito le gesta di questi “picciotti” che tra New York, Chicago, Las Vegas e Pittsburgh, nella realtà come sul grande e piccolo schermo, sono diventati de facto un paradossale simbolo di quelle qualità che l’America ha sempre voluto trovare nei suoi eroi.

Il Padrino 50 anni dopo

A dirla tutta la stessa produzione della Paramount Pictures era particolarmente in difficoltà su come parlare di mafia. Personaggi connessi alla criminalità come Frank Sinatra o il boss Joseph Colombo, non volevano che si usasse quella parola, ufficialmente per non turbare la comunità italo-americana, cosa che portò a diverse variazioni nella sceneggiatura. Ma soprattutto non volevano che si sollevasse il sipario sul loro mondo con le sue leggi, fino a quel momento dipinto in modo ben poco incisivo, a maggior gloria della figura del gangster, eroe solitario. Ci vollero due anni perché il progetto partisse, a fronte di enormi difficoltà inerenti location, cast e soprattutto budget, con una continua guerra tra Coppola e la produzione. In particolare la scelta di Al Pacino per il ruolo di Michael Corleone fu ampiamente contrastata, dal momento che per garantirsi il successo al botteghino (e molti pensavano che non sarebbe mai successo) si voleva puntare su nomi di grande richiamo. I più gettonati erano quelli di Robert Redford, Jack Nicholson, Dustin Hoffman e Ryan O’Neal. Pari problema ci fu per Marlon Brando, a quel tempo considerato ormai fuori dal giro grosso. In entrambi i casi, per fortuna, la spuntò Coppola.

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Il successo de Il Padrino

287 milioni di dollari. Questa la misura del successo ottenuto da Coppola, nonché una sedimentazione nell'immaginario collettivo con pochi precedenti. Il regista riuscì assieme all’aiuto dello scrittore Mario Puzo, a cesellare una sceneggiatura che, per quanto differente per diversi aspetti dell'originale letterario, ne manteneva però la potenza semantica, la sua essenza di essere qualcosa di molto più di una storia di mafia. Michael Corleone, quel ragazzo silenzioso, meditabondo, sarebbe diventato in breve uno dei più grandi personaggi della storia cinematografica, così come il padre Don Vito, a cui Marlon Brando seppe donare una presenza scenica e un carisma che nessun altro ha saputo pareggiare. È attorno a questi due giganti, al padre e al figlio, ai due lati della stessa medaglia che ruota tutta la saga, che allontanandosi dalla retorica del ribelle anti-sistema armato di Thompson che aveva reso mito attori come Paul Muni o Humphrey Bogart, si pose come racconto sull'essenza del potere. L'aspetto più geniale de Il Padrino è stato il fatto che Coppola partendo questa tematica, costruì un mondo fatto di significati e drammi, perseguì un'evoluzione costante e coerente dei suoi personaggi, dei suoi protagonisti.

Don Vito Corleone tra Robert De Niro e Marlon Brando

Don Vito, diventato anche grazie al make up indovinatissimo, al tono mellifluo e serpentino che Brando scelse, un totem cinematografico, fu un personaggio che operò un totale rinnovamento della figura del leader, non solo in ambito criminale. Il Padrino in generale fece comprendere al grande pubblico come e perché la mafia fosse riuscita ad insinuarsi con tanta efficacia all'interno del tessuto sociale e culturale americano. Era stato grazie al suo credo machista e ipocrita, il suo conformismo di facciata ai valori tradizionali come la famiglia, la religione, quando l'unica che contava era l'arrivismo, il successo ad ogni costo. Don Vito Corleone - da giovane Robert De Niro, da anziano Marlon Brando - a tutti gli effetti era quasi una trasfigurazione del concetto di padre fondatore. Allo stesso tempo ci parlava dell'America come seconda patria, con Vito fuggito dalla morte in terra di Sicilia, diventato come si sarebbe visto nel secondo, altrettanto magnifico episodio, capo di un'organizzazione tentacolare per istinto, per vocazione ma anche per necessità. Scorsese ci avrebbe parlato anni dopo delle strade d'America, Coppola invece si concentrò su uomini potenti e infidi, su una cultura della morte e dell’intrigo incredibilmente sofisticata. Il tutto viveva nella trasformazione di un reduce di guerra idealista e romantico, nel capomafia più spietato e machiavellico che il cinema ci abbia mai donato.

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Il Padrino: i personaggi

La metamorfosi e la caratterizzazione dei personaggi ne Il Padrino, sono qualcosa che il cinema di oggi ha completamente perso in favore dell'intreccio della narrazione fine a se stessa. Ma erano questi il punto di forza del film di Coppola. Al centro vi era un uomo potente, astuto ma infiacchito, indebolito dal suo trono e i suoi tre figli: Michael, Sonny e Fredo. Ognuno da lui aveva preso pregi o difetti, ma sarebbe ben presto emerso come soltanto il più giovane ne aveva ereditato l'innato talento per essere un capo, la mente meccanica e fredda, la straordinaria capacità di destreggiarsi in un labirinto oscuro. Ma ciò che a lungo il pubblico non ha compreso, è come nella realtà già quel film parlasse soprattutto di una sconfitta esistenziale e morale, che il terzo (e per molti versi sottovalutatissimo) capitolo, avrebbe reso fin troppo eloquente. Michael, come un MacBeth, un Coriolano o un Re Lear, prima per vendetta, poi perché innamorato di quel trono fatto di tenebra e solitudine, vi sacrifica amore, affetti, la possibilità di una vita lontana dal credo sadomaso-mortuario che ancora oggi inquina il mondo. In Vito e Michael, ancora oggi, vi è il simbolo più potente di cosa si paga ad abbracciare quella rosa perigliosa che è la Mafia.

Dopo Il Padrino la criminalità sarebbe tornata ad essere la grande metafora del sogno americano, così come del suo fallimento, del suo vero volto fatto di menzogna e falsità. I due episodi successivi, titoli come Quei Bravi Ragazzi, Casinò, Scarface, Bronx o Donnie Brasco, ne avrebbero continuato l'opera nel parlarci non tanto o meglio non solamente dell'evoluzione del mondo criminale, ma della cultura ipocrita, della sua ammaliante essenza. Ciò che il Padrino fece cinquant'anni fa, fu però soprattutto parlarci della mancanza di libertà dell'individuo, di come la società sia basata sulla predazione del prossimo. Allo stesso modo, ebbe anche il merito di rendere palese l'onore della corona, la bugia delle promesse che esso fa, così come il fallimento del mito del melting pot. Qualcosa che un capolavoro come i Sopranos avrebbe reso ancora più tangibile ed evidente, nel mostrarci microcosmi impenetrabile dall'esterno, la realtà di una nazione in cui nulla vale meno dell'identità nazionale. Questa non può sostituire la cultura di appartenenza, quella dei Padri le cui colpe poi verranno sempre pagate dai figli. Si perché il tema della paternità sarebbe stato l'altro grande protagonista, mettendo da parte quello sentimentale. La famiglia, diventò gabbia dorata, fico strangolatore dell'esistenza, fardello.

Il padrino 50 anniversario, il cofanetto

Per festeggiare il 50° anniversario del capolavoro di Francis Ford Coppola, vincitore degli Academy Award, Paramount Pictures e Koch Media hanno messo in vendita un prestigioso cofanetto con i tre film dell’epica trilogia de Il Padrino, meticolosamente restaurati sotto la direzione di Coppola, disponibili in 4K Ultra HD per la prima volta in assoluto. Contenuti speciali inediti e la versione recentemente rimontata del film finale.

Il Padrino film intramondabile

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Lui, Michael Corleone, fedele al credo in modo adamantino, immagine reale e terribile di cosa sono stati uomini come Lucky Luciano, Totò Riina, Sam Giancana, Vito Genovese o Carlos Marcelo, continua ad aggirarsi nella parte più oscura dei nostri sogni. Di base, come Vito, è impossibile decidere se sia un buono, un cattivo, un antieroe o che altro. Forse la realtà è che di base è semplicemente l'immagine della verità storica, di come e perché la mafia sicuramente finirà prima o poi come diceva Giovanni Falcone, ma non così presto come speriamo. Ciò per la sua essenza di semplificazione morale e decisionale, la sua adattabilità che Coppola rese evidente mostrandola in quegli anni, quando diventò ancor più Stato nello Stato, impero del proibito e delle zona d'ombra della politica. A conti fatti persino uomini come Pablo Escobar o il Chapo, non sono riusciti paradossalmente mai ad essere più reali di Michael o di Vito, della verità contenuta nella loro vita dedicata alla morte e alla conquista, nella bugia che il potere logora solo chi non ce l'ha. Anche per questo, Il Padrino rimane un pilastro non solo della cinematografia, ma della narrativa moderna, un'opera che solleva il sipario sulla parte più oscura dei nostri desideri.

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Giulio Zoppello

Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice "Il cinema al tempo del terrore", analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L'Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell'ironia, nell'essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.