Non è facile scrivere qualcosa di nuovo a proposito di M. il figlio del secolo (Bompiani) di Antonio Scurati, soprattutto dopo tutte le recensioni e le polemiche che ha suscitato. Quello che segue è il tentativo di provare ad articolare una riflessione su un romanzo, primo di tre, che consta di oltre 800 pagine. Intanto si può dire cosa M. il figlio del secolo non è. Il testo di Scurati non è un testo storico, né un testo di storia; non è quindi paragonabile agli studi di De Felice, per fare un esempio, sul fascismo e Mussolini.

Il libro non è neppure una biografia di Mussolini; cioè non ha la pretesa di indagare i fatti reali e comprovati del capo del fascismo, dalla sua nascita alla sua morte. Le biografie sono un’altra cosa, ce ne sono molte, alcune interessanti e altre meno, ma condividono una sorta di tono e di andamento narrativo che M. il figlio del secolo non ha. Le pagine di Scurati non sono neppure un bignami della storia del fascismo o un libro di divulgazione sul ventennio, sia perché esistono alcune manchevolezze (non entro nel merito delle polemiche tra Scurati e Galli della Loggia con tutti gli annessi) sia perché è palese come non sia quello l’intento principe del suo autore.

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courtesy Bompiani


M. il figlio del secolo di Scurati parte da un altro presupposto, secondo me interessante, che è quello di raccontare il fascismo secondo l’ottica di Mussolini. Narrativamente parlando è questo il nucleo forte del testo. Provare a dare voce a chi il fascismo l’ha pensato, voluto e messo in atto. A mia memoria non esiste nessun tipo di romanzo che provi a raccontare la storia della seconda guerra da questo punto di vista. Ci sono alcune narrazioni da destra, ma sono come dire apocalittiche ed estravaganti come il romanzo La distruzione di Dante Virgili, rieditato dal Saggiatore. Certo Mussolini è il protagonista indiscusso di Eros e Priapo di Gadda, ma in quel caso lo scrittore milanese sceglie la parodia e il grottesco per descrivere il Duce. C’è Muss, edito da Passigli, di Curzio Malparte, che però parte dalla vicenda di Mussolini per arrivare poi a studiare il fascismo.

Scurati non sceglie nessuna di queste vie, ma decide di prendere sul serio Mussolini, non ne fa una parodia, evitando qualsiasi tic o usando un linguaggio troppo “alla duce”. È questa una scelta coraggiosa, e interessante.

M. il figlio del secolo però non è solo questo. Cioè non è un monologo in cui Mussolini parla, non è un romanzo in prima persona; il libro è scritto in terza persona con un ampio uso del discorso indiretto libero, in cui si mescolano dialogo, pensiero e azione. Questo avviene per la miriade di personaggi che affollano il libro, e che di volta in volta prendono la parola nel corso della narrazione. La terza persona permette a Scurati, quindi, di costruire raccordi didascalici tra i vari avvenimenti storici. Il narratore è di volta in volta esterno e interno alla narrazione.

Romanzo o documentario?

Detto questo non siamo ancora arrivati a una definizione di cosa sia M. il figlio del secolo Scurati. A voler essere sinceri neppure la premessa iniziale al testo non è chiara e aggiunge ambiguità. Scurati parla di “romanzo documentario”, e aggiunge che i fatti e i personaggi non sono “frutto della fantasia dell’autore”. Inoltre ogni fatto e accadimento “è storicamente documentato e/o autorevolemente testimoniato da più di una fonte”. Scurati conclude, infine, sostenendo che “la storia è una invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però”.

Ci sono un po’ di cose che confondono e che provo a ordinare, parto dal binomio romanzo+docuementario.

Attengono all’area semantica documentario i seguenti fatti:

  • I personaggi sono veri: chiaramente tutti i personaggi di questo romanzo, che ha pure un indice dei nomi e una breve biografia, sono realmente esistiti.
  • Le azioni dei personaggi sono accadute: chiaramente il modo in cui D’Annunzio entra a Fiume o le modalità dell’omicidio Matteotti sono state ricostruire dagli storici e Scurati le ripercorre.
  • Alcune dei dialoghi e delle parole sono realmente pronunciati, perché tratti da discorsi pubblici.

Attengono all’area romanzo:

  • Lo sviluppo dei pensieri dei vari personaggi davanti alle azioni che compiono.
  • I sentimenti che descritti e vissuti dai personaggi durante le azioni che compiono.
  • La modalità per cui a una scena A ne segue una scena B (cioè il montaggio, se pur in rigoroso ordine storico, degli avvenimenti: perché Scurati sceglie di raccontare un fatto piuttosto di una altro? Sono ipotesi legate alla struttura del romanzo).

Poi c’è questa strana chiusa in cui si parla di storia e d’invenzione, dove, in primo luogo, non si comprende se la storia sia intesa come tessuto del romanzo o se sia la storia in quanto accadimento di fatti nel tempo; in secondo luogo leggendo sembra che l’invenzione stia sullo stesso piano della storia, anche se questa affermazione parrebbe mitigata da quell’aggiunta quasi distratta alla fine della postilla ("non arbitraria, però").

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Allora proviamo a riassumere: abbiamo personaggi reali, che si muovono in un ambito storico definito, ma in cui spesso e volentieri pur compiendo azioni “documentabili” sono dominati da una sorta di invenzione e di verisimiglianza. Quello di Scurati è una versione riveduta del buon vecchio romanzo storico, che invece di raccontare un tempo molto lontano da noi, si affaccia sul nostro passato più recente.

Stupisce quindi che nessuno, o pochi, abbiano messo in evidenza come il vero modello con cui M. il figlio del secolo. di Scurati deve fare i conti sia il romanzo del nostro nevrotico e geniale conte Alessandro Manzoni.

Entrambe le opere condividono una scelta militante. Manzoni racconta i fatti del ‘600 per parlare dell’Italia dell’800, Scurati ha presentato il suo lavoro come il suo unito e più fattivo contributo all’antifascismo. Il romanzo storico come genere, almeno per la sua derivazione italiana, ha una forte dose di pedagogismo. Se penso a romanzi come l’Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta mi rendo conto che la maggior parte della ragione narrativa di quei testi stia in una tensione ideologica. La reale differenza tra I Promessi Sposi e i suoi contemporanei sta proprio nel fatto che l’intento pedagogico in Manzoni è quasi completamente messo a tacere. Manzoni non strizza mai l’occhio al lettore; anzi quando si accorge di questa possibile sovrapposizione di tempi, Manzoni usa l’ironia, l’abbassamento, per smontare sul nascere ogni sentimento di emulazione.

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E in Scurati?

Difficile rispondere, soprattutto perché il libro è uscito in un momento storico politico così strambo che ha non poco modificato la percezione del romanzo. Quindi provo a rispondere rimanendo sul testo; faccio due annotazioni rivendendo i miei appunti di lettura, legati a dove il romanzo ha funzionato di più e dove, a mio avviso, invece ha segnato il passo.

Il romanzo funziona nei momenti in cui appare in scena Mussolini, nei momenti in cui prende la parola, o compie azioni. In quel caso la prosa di Scurati – proprio perché grigia e in minore, non urlata o vezzosa o caricaturale – riesce a restituire il personaggio del Duce a tutto tondo. Questo capita proprio nel momento in cui l’autore lascia la fase documentaria o la riduce all’osso, alla semplice diacronia degli eventi, e usa l’indiretto libero, il flusso di coscienza. A riprova di ciò si può vedere che questo meccanismo funziona anche quando viene usato per dar vita ad altri personaggi, e migliora ancora di più quando narrativamente parlando appare e prende forma il primo reale antagonista di Mussolini: Giacomo Matteotti.

la necessaria parte didascalica è il vero difetto strutturale. Rimane da leggere con attenzione lo sviluppo nei successivi due volumi

Il romanzo funziona meno quando invece Scurati deve – e sottolineo il verbo dovere – costruire le connessioni e raccontare i fatti storici dell’inizio del fascismo. Ecco i momenti di stanca della prima parte, quando l’autore deve raccontare e dire ai lettori una parte di storia (quella della nascita del fascismo nel primo dopoguerra), che sinceramente la maggior parte dei lettori ignora. In quei momenti il pedagogista e l’insegnante hanno il sopravvento sullo scrittore. L’effetto “enciclopedia” è legato a questa esigenza di Scurati di dover spiegare cosa è stato il fascismo degli inizi, spiegare il passaggio da movimento di rivoluzionario a movimento conservatore etc etc. Non a caso quando l’asse temporale si sposta su la marcia su Roma e l’omicidio Matteotti, elementi storici di cui mediamente tutti posseggono informazioni, il pedagogo si mette in disparte e viene fuori la narrazione: il romanzo, come dicevamo, diventa interessante.

Se bisogna parlare di fallimento per M, bisogna parlare di un fallimento interno alla sua stessa ragione narrativa. È un romanzo che prevede una parte didascalica che secondo me è il vero difetto strutturale. Rimane da comprendere e da leggere con attenzione lo sviluppo nei successivi due volumi, perché – azzardo – avvicinandosi a fatto più noti e più conosciuti il tono pedagogico dovrebbe smozzarsi.

Il libro di Scurati, quindi, come è? Ti è piaciuto o meno? È un libro che deve essere letto, penso che sia una narrazione con dei difetti, ma anche un romanzo che nessuno aveva neppure osato immaginare. Infine siamo davanti a un’opera in fieri, che lascia aperte molte questioni, alcune perplessità, e comunque la voglia di leggere come va a finire.