Hideaki Anno, come buona parte dei membri della seconda generazione di registi e animatori, è stato un otaku. Nel suo caso è stato anche un hikikomori. I suoi anime preferiti sono Yamato la corazzata spaziale, Mobile Suit Gundam e Ideon il colosso leggendario, i suoi mentori sono Yoshiyuki Tomino e Hayao Miyazaki. Dopo Punta al top! GunBuster e il successo televisivo di Nadia – Il mistero della Pietra Azzurra, sempre suo e di Gainax, Anno prende coscienza della povertà della propria vita sociale ed entra in depressione: prova disinteresse verso tutti gli esseri viventi, compresa la sua stessa famiglia, ha enorme difficoltà a relazionarsi con il prossimo.

Si trova patetico, si odia, considera addirittura di ritirarsi dall’animazione, ma si innamora a tal punto di Mobile Suit V Gundam, serie di Tomino del 1993, da ritrovare l’ispirazione per una nuova storia. Neon Genesis Evangelion è l’allegoria in chiave robotica della sua vita, il protagonista Shinji Ikari è l’avatar della sua anima hikikomori, e tutti gli attori della vicenda sono icone metaforiche. La serie è, dice Anno, il doloroso processo di guarigione di un hikikomori, il racconto della sua uscita dal guscio e della sua entrata nella vita sociale. "Mi domando se una persona oltre i venti a cui piacciono anime di robot sia veramente felice. Potrebbe trovare la felicità altrove. Ho i miei dubbi sulla sua felicità" è il manifesto del regista e dell’opera.

Dai produttori Anno riceve carta bianca, libero di decidere storia, modi e numero di episodi, con un unico diktat: gli adulti possono morire, i ragazzini no. Le animazioni sono affidate alla Tatsunoko: Gainax è troppo piccola per gestire con le sue forze un simile dispiego di mezzi e persone. La serie debutta su tv Tokyo a partire dal 4 ottobre 1995, ogni sabato alle 18.30 per la regia generale di Anno.

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La trama di Evangelion è suggestiva. A causa del burrascoso rapporto con il padre, Shinji Ikari è diventato un adolescente disturbato, estremamente schivo e insicuro. Vive in un Giappone del futuro, ricostruito dopo la misteriosa tragedia del Second Impact che ha distrutto parte del globo, ed è richiamato a Neo-Tōkyō 3 proprio dal genitore, a capo dell’organismo militare NERV. Il padre gli svela l’arcano: insieme alle coetanee Rei Ayanami e Asuka Langley Sōryū, il ragazzo è un Children, uno dei pochi eletti in grado di pilotare le entità robotiche senzienti Evangelion per difendere l’umanità dagli attacchi degli Angeli, creature informi, disseminate sul pianeta, che una dopo l’altra si dirigono in Giappone per attaccare la città senza apparente motivazione.

I tre ragazzi sono costretti dai militari a rischiare la vita in combattimento: sono gli unici in grado di entrare in sintonia con il loro specifico Evangelion, attraverso degli entry plug e un’interfaccia neurale che li mette in totale risonanza con le creature che pilotano. Shinji non immagina, però, cosa siano realmente gli Angeli e che ruolo abbia avuto la NERV nella loro creazione. Soprattutto, non sa cosa sia la segretissima Seele, che manovra la NERV da dietro le quinte, e che mira a realizzare il misterioso Progetto per il perfezionamento dell’uomo.

Evangelion propone un nuovo modo di raccontare una storia: complesso, improntato alla psicologia, ai monologhi interiori, anche alla filosofia, che serve a mettere a nudo gli attori nelle loro pulsioni esistenziali. Sotto i riflettori passano l’io e il super io, Schopenhauer e il dilemma del porcospino, teorie e concetti di Freud e di Kierkegaard, e non è difficile trovarci dentro – chissà se Anno lo ha letto – anche Pirandello e la teoria delle maschere. Per tutta la serie gli attori sono rivoltati come calzini e il tema dell’incomunicabilità è posto in primissimo piano. Come ai tempi di Tomino.

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Due sono le chiavi di lettura necessarie per comprendere Evangelion. Secondo la prima, Evangelion è una storia prettamente fantascientifica, ventisei episodi nei quali Anno parla della guerra dell’umanità contro gli Angeli, snocciolando misteri, atmosfere apocalittiche, cospirazioni, teorie alternative della nascita dell’umanità, e scomodando armi, attrezzature, tecnologie e creature i cui nomi si rifanno, per finalità esotiche, a religione ed esoterismo, tirando in ballo Lance di Longino, Re magi, riferimenti alla cabala ebraica, al cristianesimo e all’escatologia.

Secondo le intenzioni dello staff, la serie è la somma di Ideon di Tomino e del manga DevilMan (1972) di Gō Nagai: sulla traccia di Ideon, nella NERV rivive la Solo Ship, in lotta contro gli extraterrestri, cioè gli Angeli, e contro la stessa umanità, rappresentata dalla Seele, e l’Ideon rivive negli Eva, entità senzienti che possono comunicare con i giovani o impazzire; da DevilMan provengono lo scontro tra l’uomo e le divinità e il finale apocalittico. Inoltre, per Anno Evangelion è anche una risposta a Gundam, anzi: intende superarlo.

Infine, in merito al rovesciamento di valori nel finale di serie, il regista dice di aver pescato suggestioni dal volume conclusivo del manga di Nausicaä. Evangelion, è un trionfo di citazionismo: due dei tre Children, Rei e Asuka, ereditano i nomi da Rei Asuka di Reideen; la prima apparizione dell’Eva, con l’inquadratura del suo enorme volto davanti agli occhi stupefatti di Shinji, rievoca l’analoga apparizione del Combattler V; i cinque minuti di autonomia che hanno gli Eva in combattimento riprendono i cinque minuti del mitico Ultraman; nell’episodio 18 una intera sequenza in un parco giochi è clonata da un’identica scena di Caro fratello (1991, stesso titolo in Italia); l’entry plug potrebbe essere un omaggio a Iczer-1, e in generale la serie trabocca di omaggi ad anime amati dal regista e dallo staff.

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La seconda chiave di lettura accompagna lo spettatore al cuore dell’opera di Anno: Evangelion è un trattato sul processo di guarigione di un hikikomori. Shinji è presentato come tale fin dal primo episodio. E man mano che l’intreccio si sviluppa e la minaccia degli Angeli cresce, lo si vede fare errori mettendo a rischio la vita sua e degli altri, e sottoporre se stesso a sfiancanti inquisizioni interiori. È un personaggio pietoso, pauroso, incapace di assumersi responsabilità, sgridato sia dagli adulti sia dalle coetanee che come lui guidano gli Eva. È il primo pilota di robot che frigna al momento di salire sul suo mezzo.

In coerenza con questa chiave, anche gli elementi fantascientifici assumono significati simbolici: Anno spiega che gli Angeli, enigmatici, amorfi, indecifrabili, rappresentano la vita reale filtrata dallo sguardo hikikomori. Gendō Ikari, il severo padre di Shinji, che con fare freddo e cinico impone al figlio prove durissime, può essere visto, dice Anno, come rappresentazione della pressione della società o come la società stessa. Allo stesso modo, le donne e le ragazze che influenzano la crescita di Shinji sembrano restituire diversi stereotipi dell’immaginario maschile: la disinibita Misato Katsuragi, trentenne forte, indipendente, solare e comprensiva, che ospita Shinji a casa sua dandogli supporto morale, è il surrogato di una figura materna; Asuka è una dominatrice, una ragazza che sa quello che vuole e sa di essere sensuale; Rei una ragazza bella ed emotivamente instabile che ispira a un tempo soggezione e protezione.

Le due dimensioni narrative dell’opera, terrena e simbolica, sono intriganti e convivono benissimo. C’è però un problema di mancato coordinamento tra le direttive di Gainax e la realizzazione delle animazioni da parte di Tatsunoko, che sperpera troppi soldi in episodi a cui ne basterebbero meno. La conseguenza è che Anno, verso il finale di serie, è costretto a fare economia. E si vede. Le puntate si basano sempre più su disegni statici e ricicli di sequenze. Paradossalmente, è il motivo per cui il finale di Evangelion diventa un cult: Anno deve arrangiarsi con ciò che ha, e realizza una conclusione diversa da quella a cui ha pensato. Preferisce andare al nocciolo della questione e dire quello che gli interessa realmente, concludendo il discorso sociale senza dare una chiusura alla trama terrena.

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Inscena due puntate finali, la 25 e la 26, fatte con schizzi di storyboard, voci fuori campo, ricicli di rodovetri, foto vere, animazioni minimaliste e scritte a tutto schermo realizzando un’opera d’arte di risparmio, ma anche concettuale. Le due puntate finali si reggono interamente su dialoghi interiori di Shinji e diventano il traguardo della sua crescita che, a questo punto, buca la quarta parete diventando destrutturazione della storia, processo di negazione della forma. Nessun riferimento a come si risolvano la guerra con gli Angeli e i misteri della serie: il succo del discorso è tutto qui, in questi cinquanta minuti, e i fan possono solo accettarlo. Il messaggio però non è diverso da quanto ha già detto Tomino con Gundam e Z Gundam; semplicemente, in Evangelion viene detto da dentro i personaggi e non da fuori. Quantomeno, è innegabile che sia stato fatto con stile.

Lì per lì, Evangelion non ottiene un grande risultato commerciale. È presentato sulla rivista Animage, in un insignificante trafiletto, semplicemente come una serie un po’ particolare. La trasmissione è essenzialmente ignorata dagli spettatori e lo share medio è un modesto 7,1%. Ma, come Gundam, va incontro a un’epocale riabilitazione. Le televisioni, i programmi e i quotidiani iniziano a dedicare sempre più servizi a questa storia così particolare, e la cruda metafora dell’hikikomori colpisce nel segno quando iniziano a nascere dibattiti sul tema “è possibile che i nostri figli siano come Shinji?”. La replica notturna di Evangelion, alle 2.55 di notte, ottiene uno share medio del 2,4%: ovviamente basso per via dell’orario, ma per nulla rappresentativo, dato che quasi tutti si limitano a registrare gli episodi per vederli di giorno. Infatti, quando arrivano in vendita le videocassette e i dvd della serie, è l’apoteosi: le prime dieci vendono 2.560.000 copie, ed è proprio Evangelion a contribuire significativamente al boom del formato dvd.

Le ragazze della serie si trasformano inevitabilmente delle icone sessuali. Ayanami diventa la ragazza anime dell’anno e le sue action figure vanno a ruba così come i costumi da cosplay. La sua popolarità tocca l’apice il 30 luglio 1997, quando in tutto il mondo il settimanale Newsweek ha in copertina Gianni Versace, ma nella versione giapponese c’è lei. E se in Giappone Evangelion è un successo monolitico, all’estero lo è ancora di più: è la serie più popolare di tutti i tempi, e ancora oggi se ne parla con una venerazione infinita, speculando su tutti i suoi significati. Il che è ironico.

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Evangelion nasce in Giappone per parlare alla società giapponese, ed è simbolico che esca proprio dopo l’attentato terroristico della Aum Shinrikyō, quel cupo scorcio storico che riporta in auge il disprezzo verso otaku e hikikomori. Al di fuori dell’arcipelago, i fan occidentali si focalizzano sulla sua superficie, sulle allegorie religiose, sulla cabala, sui misteri non spiegati, e l’unica cosa che si può dare loro in pasto è una dichiarazione di Kazuya Tsurumaki, uno dei registi principali della serie: "Ci sono un sacco di anime robotici in circolazione, per questo abbiamo inserito riferimenti religiosi per distinguerci. Non c’è nessun significato cristiano nella serie, abbiamo solo pensato che riferimenti visivi al cristianesimo sembrassero fighi. Se avessimo saputo che l’opera sarebbe stata distribuita negli USA e in Europa, avremmo ripensato a questa scelta".

Le lodi e le critiche più interessanti, piuttosto, sono quelle che guardano ai risvolti psicologici e sociali della serie. "Da circa una decina d’anni i miei allievi non scrivono altro che storie del genere. Figli unici con genitori assenti, hanno trascorso l’infanzia a giocare con i videogame e guardare cartoni animati. Nelle loro sceneggiature non sanno rappresentare rapporti umani, perché non ne hanno esperienza. Evangelion è un’espressione del nostro tempo" dice lo sceneggiatore cinematografico Toshirō Ishidō nel 1997, uno dei sostenitori dell’opera.

Ma in generale, c’è una cosa che è chiara a tutti: i fan della serie, vale a dire, per la stragrande maggioranza, proprio gli otaku a cui si rivolge Anno, lo odiano a morte per quelle due puntate finali e ne nasce una furente polemica. Anno riceve anche e-mail contenenti minacce di morte. Ha girato la serie in piena depressione,e le sue condizioni peggiorano ancora di più. Non è sicuro di essere davvero un bravo regista se così tanta gente ha criticato il finale, e arriva quasi al punto di suicidarsi: rifiuta di vedere le persone, sale sul tetto del palazzo di Gainax e medita se gettarsi di sotto. Fortunatamente ci ripensa. Agli otaku risponde per le rime con un famoso intervento scritto sul numero di giugno del 1996 di Newtype, nella prima intervista rilasciata dopo il termine della serie:

Molti di quelli che comunicano via computer sono gente con i paraocchi. Si sono fatti una visione del mondo intero standosene chiusi nelle loro stanze. Ma quello che hanno sono solo informazioni non verificate, che danno loro l’impressione di aver capito tutto. [...] [Le loro parole] hanno lo stesso valore dei graffiti nei cessi... [...] A loro voglio solo dire di provare a conoscere meglio il mondo e di tornare alla realtà. [...] Gli animefan vengono presi in giro perché non si rendono conto di quanto le loro idee siano infantili. Non escono dalle loro camere. Vogliono solo starsene al sicuro. Non hanno nulla di certo a cui appoggiarsi dentro se stessi, ed è per questo che cercano la salvezza nei cartoni animati. [...] La ragione per cui mi permetto di dire queste cose è che anche io mi sono accorto di non avere nulla. Ho fatto l’animefan per ventun anni, e me ne sono accorto solo ora che ho trentacinque anni. Devo essere un bello scemo pure io.

Neanche per Gainax, comunque, il finale può essere quello televisivo. Annuncia un lungometraggio cinematografico, programmato per il 15 marzo 1997, che sarà un classico film riassuntivo, con qualche modifica alle scene originali e qualche revisione del doppiaggio; promette anche di chiarire tutti i misteri della serie. E invece in pieno 1996 il colpo di scena: l’annuncio che i film saranno due, per l’impossibilità di girare il finale voluto nei tempi previsti. Death & Rebirth, quando esce, è ovviamente un successone.

Incassa un miliardo e 100 milioni di yen e le sale sono strapiene in tutte le proiezioni. Ma è un’opera trascurabile. Si divide in due parti, per un totale di cento minuti. Death è la sintesi dei primi ventiquattro episodi con qualche modifica, e occupa ben settantatré minuti; Rebirth, con i suoi ventisette, è invece il rifacimento della puntata 25. Il secondo film, The End of Evangelion, esce il 19 luglio 1997: è animato da zero e contiene sia Rebirth sia il rifacimento dell’episodio 26. Si tratta della conclusione definitiva di Evangelion, ed è costruito su un potentissimo déjà vu.

Con la sconfitta del diciassettesimo Angelo, la profezia contenuta nei Rotoli del Mar Morto giunge a compimento: è ora che si attui il misterioso Progetto per il perfezionamento dell’uomo. Per fare questo, la Seele invia dentro la base della NERV una task force militare armata fino ai denti a rinvenire la gigantesca Lilith, il secondo Angelo da cui è discesa la razza umana. Segue una carneficina dei dipendenti della NERV, ma Shinji e Asuka salgono a bordo degli Eva per difendere la base. Infine, quando l’anima e il corpo di Lilith si fondono, si verifica l’apocalittico Third Impact.

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Con The End of Evangelion, Anno rilegge il mitico The Ideon – Evocazione del 1982, lungometraggio conclusivo di Ideon, serie tv di Tomino. Già la serie televisiva omaggiava Evocazione nell’ultimo episodio, con la famosa scritta finale “Grazie padre, arrivederci madre, e a tutti i bambini, congratulazioni!” che riecheggiava l’“happy birthday dear children” cantato dagli spiriti dei morti nel finale della pellicola di Tomino; entrambi i finali simboleggiavano la rinascita spirituale del cast. The End va ben oltre, di Evocazione rielabora il tenore fortemente depressivo e nichilista, la glaciale crudezza delle scene di morte, e soprattutto i momenti topici: l’infiltrazione del commando Seele nella base NERV, con conseguente carneficina, è nei fatti la strage operata dal Buff Clan penetrata nella nave Solo; l’Albero della Vita è palesemente l’Ide e, infine, il misticheggiante e apocalittico Third Impact è l’Armageddon finale perpetrato dall’Ideon, con scene registicamente identiche, e con spiriti e reset.

L’originalità non sta tanto nel modo in cui viene realizzato il semiremake, bensì nel modo in cui Anno adatta il classico del 1982 alla propria satira. Le famigerate introspezioni psicologiche convivono con divinità, fusioni extracorporee ed elementi soprannaturali: i due piani narrativi si sovrappongono. La chiave di lettura, il messaggio che Anno manda ancora una volta agli otaku, è tutto nel monologo interiore finale di Shinji: "Il potere dell’immaginazione è l’abilità di crearsi il proprio futuro, di costruirsi la propria crescita. Se le persone non agiranno secondo la propria volontà niente cambierà".

La soluzione a cui arriva il protagonista buca la quarta parete creando un gioco meta-anime: nel corso della scena Anno mostra le e-mail di morte che ha ricevuto dagli otaku e li fa specchiare in se stessi mostrando scene di spettatori che stanno guardando il primo dei due film, Death & Rebirth, ripresi a loro insaputa. Da un lato la finzione della fine del pianeta, dall’altro persone reali dentro un cinema che fanno lavorare l’immaginazione. Un’idea geniale, che replica il ragionamento di Shinji nei due episodi televisivi facendolo arrivare alla stessa conclusione ma in un modo migliore, perfettamente integrato nel piano narrativo.

La regia è ancora una volta avvincente: l’ora e mezza di durata del film neanche si sente grazie al ritmo indiavolato generato da riprese dinamiche nei combattimenti tra mecha, inquadrature ricercate e un’ottima fotografia. Soprattutto, si respira un’aria di genuina apocalisse, e basterebbe anche solo l’immagine iniziale di uno Shinji che, sull’orlo di una crisi di panico, si masturba davanti al corpo esanime di Asuka a rendere l’aria di squilibrio e nevrosi che pervade la pellicola. Ma come i fan della prima serie di Gundam, anche quelli di Evangelion non rifletteranno sul messaggio del regista: faranno dell’opera un altarino per fantasie onanistiche sulle sue ragazze, ideali bambole da collezionare in action figure in mille pose sensuali, o trasformate in interpreti di parodie pornografiche. Non per nulla, il design delle eroine di Evangelion sarà un modello erotico per tutti gli anni Novanta.

Questo articolo è un estratto lievemente modificato da Guida ai real e super robot. L'animazione robotica giapponese dal 1980 al 1999, di Jacopo Mistè.