La comicità, almeno apparentemente, è sempre una questione di contesto culturale. Un comico fa ridere il suo pubblico perché ne condivide la provenienza, i saperi, i costumi e l’impianto sociale. Esistono tuttavia degli universali della comicità? Dei paradigmi comuni? In parole semplici: la classica scivolata sulla buccia di banana fa ridere anche in Sud Africa? E negli Emirati Arabi?

A questo proposito, dall'inizio del 2019 è in streaming su Netflix Comedians of the World, un enorme e ambizioso progetto in cui quarantasette stand up comedian provenienti da tredici paesi diversi e parlanti otto lingue differenti, si alternano su un palco a Montreal con trenta minuti di spettacolo ciascuno. L’offerta è gigantesca ed è molto facile perdercisi (30 minuti per 47 comici fa quasi 24 ore di show); per questo abbiamo pensato di selezionarne cinque tra i migliori presenti nella rassegna, escludendo quelli culturalmente e linguisticamente più vicini a noi – Europa e America del Nord: per capire se, quanto e come ci fanno ridere.

India: Amit Tandon

La stand up comedy in India è cresciuta tantissimo negli ultimi dieci anni, forse troppo. Dall’essere una forma d’arte sviluppatasi in maniera amatoriale grazie a un gruppo di pionieri locali, è rapidamente diventata un business molto ricco e molto richiesto, una vera e propria industria comica che, se da un lato permette sviluppi interessanti, dall’altro sposta le priorità degli artisti, che ormai parlano più di numeri che di battute.

Amit Tandon, uno dei tre comici indiani presenti in Comedians of the world, e probabilmente il più talentuoso, rivendica invece una gavetta quinquennale: dal 2010 al 2015, insieme ad altri comici della sua generazione – Zakir Kahn e Kanan Gill su tutti – si è esibito un po’ dappertutto, costruendo sera dopo sera il suo repertorio, fino all’esplosione del 2015 grazie a un video virale. Da lì, non si è più fermato, grazie ad alcuni tour internazionali che l’hanno portato negli Stati Uniti e che gli hanno permesso di partecipare alla grande rassegna di Montreal.

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courtesy Netflix

Amit Tandon, chiamato anche “The Married Guy”, è la cosa più simile a Jerry Seinfeld che si può trovare in questo momento in India. Non stiamo parlando ovviamente di talento (Seinfeld è obbiettivamente irraggiungibile), ma di approccio alla stand up comedy: no parolacce, no volgarità e una spiccata attitudine all’osservazione delle dinamiche di tutti i giorni e alla capacità di rendere divertente qualsiasi cosa.

Il suo show su Netflix, dove alterna battute in inglese con battute in hindi, inizia con il racconto della sua infanzia, quando sua madre, indiana e molto tradizionalista, organizza una festa gigantesca per il suo primo compleanno, per poi bruciarsi tutto il budget necessario per i compleanni successivi, cioè quelli che sono effettivamente rimasti nella memoria del piccolo Amit. Lo spettacolo continua parlando dei regali che si potevano acquistare in India negli anni Settanta e Ottanta e delle particolari dinamiche familiari in cui è cresciuto. Non aggiungiamo altro per non rovinare la visione, raccomandatissima per gli appassionati di observational comedy.

Medio Oriente: Rawsan Hallak (Giordania)

Negli Emirati Arabi c’è una barzelletta molto famosa che, più o meno, recita così: ogni genitore spera che i suoi figli facciano quello che vogliono nella vita, a patto che vogliano prendere una laurea in finanza, ingegneria o medicina. Rawsan Hallak si è laureata in ingegneria civile per far contento suo padre, poi però ha deciso di intraprendere un’altra strada, quella della stand up comedy, e non è una cosa da poco, visto il contesto. Il mondo arabo è tristemente famoso per l’estrema disparità tra uomini e donne in tutti gli ambiti della vita e del lavoro, ma Hallak, grazie ad alcuni video di successo su YouTube, è riuscita a sfondare. Dopo un’adolescenza passata a teatro, in platea e sul palco, e dopo cinque anni da speaker per la radio della scuola, ha finalmente debuttato come stand up comedienne.

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courtesy Netflix

In Giordania, la scena comedy sta ancora muovendo i primi passi ed è interamente dominata da uomini, soprattutto perché, nelle parole di Hallak, “noi donne arabe non abbiamo ancora la fiducia necessaria per salire su un palco e condividere le nostre opinioni sul mondo”. Lei ce l’ha fatta ed è approdata su Netflix con il suo monologo incentrato sulle problematiche legate alle condizioni femminili nei paesi arabi: dopo una sferzante invettiva sull’assenza dei bidet in Canada e la sua paura di avere la diarrea, Hallak si concentra sull’incredibile pressione della società giordana per i matrimoni in giovane età e sulle infinite telefonate intercontinentali con sua madre, passando attraverso i pericoli della dieta e della palestra e l’assurdità della rappresentazione del corpo femminile. “Per me invece”, dice in un’intervista, “le persone paffute sono tutte una grande fonte di ispirazione, perché hanno sempre un gran senso dell'umorismo”.

Messico: Hugo El Cojo Feliz

Prima di iniziare, un chiarimento: El Cojo Feliz significa “lo zoppo felice”. Hugo Perez ha avuto un cancro al ginocchio quando aveva ventun anni e l’ha superato, nonostante debba muoversi sempre con un bastone che porta con sé anche sul palco. Prima della malattia non aveva mai pensato di esibirsi, ed è stata proprio la degenza a fargli scoprire la stand up comedy e la possibilità di esorcizzare le sue paure facendo ridere le altre persone.

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courtesy El Cojo Feliz

Al netto della retorica di queste affermazioni, la mente degli appassionati di comicità americana va subito su Tig Notaro, a cui fu diagnosticato un tumore al seno che ha completamente trasformato il suo materiale comico, rendendo i suoi spettacoli un momento molto profondo, e altrettanto divertente, di condivisione. Anche Perez ha fondato il suo approccio alla comicità sulla coesistenza di tragedia e commedia e sulla linea labilissima che le separa.

“Uno dei momenti più amari della mia vita è stato quando ho morso un seme di limone… e anche il cancro è stato un grosso problema”. E nel suo spettacolo su Netflix, El Cojo parla spesso, e subito, di morte e dei modi più divertenti per arrivarci in fretta. Poi di tutti i vantaggi dell’essere handicappato e delle sue difficoltà di tutti i giorni. Ma non c’è stucchevolezza nelle battute, né trita rielaborazione di problemi apparentemente insormontabili, quanto piuttosto una chiara dimostrazione di come la stand up comedy, oltre a far bene al pubblico, fa molto bene anche al performer.

Sudafrica: Tumi Morake

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Tumi Morake aveva fatto tutto, tranne una cosa. Autrice di un libro di grande successo, attrice, produttrice, conduttrice di podcast, vincitrice di tutti i premi possibili del Sud Africa e regina indiscussa della stand up comedy locale. Mancava solo un viaggio in America, il primo della sua vita, lacuna colmata proprio dalla partecipazione alla grande rassegna Netflix. Definita in patria come “the Tarantino of Comedy”, Morake è l’unica rappresentante donna del continente africano in Comedians of the World e, nel suo spettacolo, mostra prima di tutto una padronanza del palco e una consapevolezza del suo materiale comico davvero degni di nota, giocando benissimo con gli stereotipi legati all’Africa e al rapporto tra il mondo occidentale, la beneficenza e i paesi del terzo mondo.

Per esempio, partendo dalla classica donazione simbolica di un dollaro per i bambini africani, Tumi Morake ricostruisce la sua storia, dall’infanzia all’età adulta, spiegando come sarebbe andata se avesse davvero ricevuto quel dollaro quand’era bambina. Continua poi raccontando la sua prima volta in America e conclude con un allegro ragionamento sui tre figli, sulla fertilità e sulla chiusura delle sue tube.

Australia: Nazeem Hussain

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Graham Denholm//Getty Images

“Non penso che la stand up comedy debba o possa necessariamente risolvere le storture sociali o rispondere alle grandi domande, ma sicuramente può aiutare le persone a farsi le domande giuste”. Nazeem Hussain è un pezzo grosso. Australiano di origine cingalese, ha ideato e interpretato uno sketch show di grande successo in Australia: Legally Brown e, nel 2004 ha creato, insieme ad Aamer Rahman, conosciuto durante gli anni di attivismo contro il razzismo, Fear of a Brown Planet, un duo di stand up comedy che prende ispirazione dall’album dei Public Enemy Fear of a Black Planet.

Anche solo leggendo questi titoli, ci si può già fare un’idea abbastanza precisa della sua comicità, quella di un immigrato dello Sri-Lanka in Australia e della sua battaglia quotidiana contro il razzismo. Nel suo show su Netflix, a questo proposito, spiega come si possano usare gli scherzi telefonici per combattere il razzismo e altre amenità della vita da immigrato.

L’idea di usare la comicità come denuncia sociale parte dal fatto che, al contrario di un articolo di opinione, la stand up comedy viene immediatamente recepita come un’esperienza positiva, divertente. E, senza voler scomodare intellettuali immensi come Umberto Eco, la risata pone lo spettatore in una posizione di potere verso ciò che è ingiusto o sbagliato: ridendo si demolisce l’autorità costituita, mettendone in dubbio le fondamenta.