Un passato tra la musica e la sociologia, una vocazione tardiva ma illuminante, poi la scommessa, il sogno nel cassetto che finalmente riesce a prender vita a Gussago, provincia di Brescia, nel cuore della Franciacorta, il 17 novembre 2017.

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foto Chiara Cadeddu


Così Alberto Gipponi ha deciso di aprire il ristorante Dina, che prende il nome da sua nonna paterna, all’interno di una piccola palazzina dal color mattone, che racconta la storia del luogo, del bar e dell’osteria che c’erano in precedenza, e col campanello accanto alla porta d’ingresso, perché ancor prima era un’abitazione. “Mi vogliono anche convincere che Dina sia un ristorante”, dice lo chef, “e forse un po’ lo è”.

La struttura, intrisa di design e arte contemporanea, è suddivisa in cinque ambienti, la Sala di decompressione, totalmente buia e illuminata solo dalla scritta al neon bianca di un’opera di Jonathan Monk, “Until then if not before”, la cosiddetta Sala della Noia e dell’Attesa, che genera creatività, ed infine le tre sale adibite alla cena, che racchiudono al loro interno tre diverse esperienze culinarie, artistiche e sensoriali. “Non è cosa mangi ma è come lo mangi”, dice Gipponi: per cui mangiare in Cantina non è come mangiare in Veranda e non è come mangiare in Laboratorio, l’ultimo scalino di una climax gastronomica ascendente in cui lo chef dà vita a tutto il suo estro creativo.

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foto Chiara Cadeddu

Un menù criptico, di cinque, di sette o di dieci portate, propone diversi gradi di profondità: “Perché tutto ci passa attraverso e ci cambia. L’uomo è un filtro”.

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foto Chiara Cadeddu
Aglio, olio e 58

Una cucina cerebrale si rivela ad ogni portata che viene presentata, uno spunto di riflessione si presenta ad ogni singolo assaggio. Dai suoi masterpiece come “Aglio, olio e 58” - omaggio alla Franceschetta58, sorella minore dell'Osteria francescana di Bottura, il posto dove Gipponi è diventato definitivamente uno chef - ai dessert stravaganti a base di quaglia e cavolfiore, tutti rigorosamente accompagnati da uno storytelling originale e spontaneo, frutto della complessa ed estrosa personalità di Gipponi.

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foto Chiara Cadeddu
Risotto... ma non doveva essere pane burro e marmellata...

La carta dei vini non racchiude al suo interno nomi altisonanti ma lascia spazio a raffinate proposte di piccoli produttori locali, selezionati in base al gusto dello chef.

La mise en place, semplice e d’effetto, a crudo su tavoli di legno, è caratterizzata da due tipi di posata: la posata martellata, che racconta il ristorante, e la posata ergonomica, una posata dalla forma particolare che racconta il Laboratorio, la stanza in cui non è lo chef ad abbracciare noi, ma siamo noi ad abbracciare lo chef e la sua creatività.

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foto Chiara Cadeddu
C’è qualcosa che non quaglia

Difficile, quindi, cercare di inquadrare Dina in schemi convenzionali, distinguere un dessert da un antipasto o cercare di capire dietro quale rebus del suo menù si nasconda un primo o un secondo. Dina è la proiezione di un io fuori dagli schemi. Dina è andare controcorrente, è sfidare il surreale con un approccio totalmente razionale.