Proseguiamo con la nostra serie di interviste a tatuatori. Mr Oger è nato e cresciuto nel posto più lontano da tutto in Italia: Trieste, città di confine, città di porto, luogo con un passato glorioso ma un presente ai più sconosciuto.

È qui che ha iniziato a tatuare ed è sempre qui che tre anni fa ha deciso di aprire il suo studio, scelta fatta nonostante sia uno dei talenti italiani più conosciuti e apprezzati all'estero: non a caso è stato invitato in tantissimi studi importanti tatuando a fianco dei più grandi artisti internazionali. Questo però, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non lo ha portato ad aprire in una città alla moda né in una città facilmente raggiungibile.

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courtesy Mr Oger

Il perché di questa scelta è racchiuso nel nome stesso del suo studio: VITRIOL, il nome è un anagramma alchemico, come una certa simbologia ricorrente nei lavori di Mr Oger (fornaci, alambicchi, materia che muta in energia...) e la scelta di rimanere legato alla sua città natale è la dimostrazione che le cose sono mutevoli, e anche da luoghi e situazioni sfavorevoli si possono ricavare enormi soddisfazioni ed opportunità.

Questa è una costante nel suo lavoro e nella sua esistenza: opera e vita di Mr Oger si intrecciano continuamente fino a non capire più quale delle due abbia influenzato l'altra.

Iniziamo dalle formalità: quanti anni hai e da quanti anni tatui?

Ho 31 anni e ho iniziato a tatuare 8 anni fa.

In che modo hai iniziato?

Nel più classico dei modi, facendo un periodo di apprendistato in uno studio della mia città. Ho avuto la fortuna di poterlo fare al fianco di un grande artista dal quale ho imparato davvero tanto. In seguito ho cercato di affermarmi come autore e ho girato ospite in studi italiani ed europei: per farti un esempio uno dei miei primi guest è stato allo studio AKA di Berlino, ho lavorato al fianco di artisti del calibro di Brody Polinsky.

Dopo un po' ho sentito l'esigenza di avere un mio studio, 3 anni fa assieme a Michele Milazzi abbiamo aperto il VITRIOL studio a Trieste. Le cose vanno molto bene ma più avanti aprirò uno studio solo mio, perché ritengo che sia la via giusta per dare il massimo comfort al cliente e per potere lavorare nel migliore dei modi sotto ogni aspetto. Preferisco la qualità alla quantità.

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courtesy Mr Oger

Il tuo stile è ben definito e riconoscibile, segno che tu eri un autore ben prima di iniziare a tatuare, già dai soggetti si capisce da che mondo vieni...

Sì, vengo dal mondo dei graffiti, in questo momento sto scontando 9 mesi di lavori socialmente utili per una questione legata a dei vagoni di treno (sorride).

Ho iniziato giovanissimo, a un certo punto della mia carriera di writer ho anche ricevuto delle proposte di sponsorizzazione da parte di grandi marchi, è uno di quei settori dove o ti presti a fare marchette per industrie legate ai graffiti (produttori di bombolette, marchi di abbigliamento) o lo fai per pura passione. Io ho deciso di mantenermi puro e di rinunciare alle proposte ricevute.

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courtesy Mr Oger

E come sei approdato al tatuaggio?

In questo c'entra la mia storia famigliare: sono cresciuto con mio zio come figura maschile di riferimento. Mio zio all'epoca suonava, mi portava con lui nella sala prove dove si riuniva con il suo gruppo. Io bambino ero affascinato da questi ragazzi tatuati, considera che Trieste è una città di porto e i tatuaggi abbondavano da molto prima che diventasse una cosa così tanto diffusa e accettata, diciamo pure di moda.

La vedevo come una cosa da adulti, un po' da duri e pensai che da grande avrei voluto averne anche io. Credo che in quei pomeriggi passati con mio zio e i suoi amici sia nata la mia fascinazione per il tatuaggio. Crescendo, quando ho realizzato che non volevo mercificare il mio lavoro di writer ho avuto una intuizione: i corpi delle persone sarebbero diventati come i vagoni dei treni sui cui dipingevo, corpi mobili che avrebbero portato le mie produzioni ovunque.

Pensi che senza i graffiti non avresti mai tatuato?

Penso che nemmeno sarei qui... I graffiti mi hanno salvato la vita, non so ora dove sarei se non avessi intrapreso quella strada, il tatuaggio mi ha dato l'opportunità di vivere delle mie passioni.

Sono cresciuto con l'idea che sarei finito male, ho iniziato a fare le prime tag con la volontà di lasciare un segno che rimanesse dopo di me, in realtà con il tempo ho realizzato che nulla dura in eterno, nemmeno un tatuaggio, chi lo porta non è eterno, come i treni che dipingevo, quelli partono, trasportano il tuo lavoro in qualche stazione ma prima o poi verranno ripuliti.

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courtesy Mr Oger

Cosa pensi della relazione irrinunciabile che c'è oggi tra tatuaggio e i social?

Penso che siano utili, che hanno dato la possibilità a molti di noi di farsi conoscere e affermarsi, ma sono pienamente consapevole del fatto che l'equazione più like hai più sei bravo sia una distorsione completa della realtà in cui viviamo.

Una cosa che ho notato anche nelle interviste precedenti con alcuni tuoi colleghi è la spaccatura che si è creata tra la vecchia generazione di tatuatori e la nuova: tu dove ti collochi?

Io credo che esistono tre differenti generazioni: la vecchia guardia fatta da tatuatori che reinterpretano i soggetti tradizionali, nella quale ognuno si è distinto per stile e tecnica ma comunque i soggetti rimangono quelli; poi c'è la mia generazione fatta da tatuatori/illustratori, siamo autori con un bagaglio tecnico spesso appreso dalla generazione precedente ma ci distinguiamo creando i nostri flash da zero o, come nel mio caso, contaminando il mondo del tatuaggio con soggetti provenienti da altre discipline artistiche.

Ora invece c'è una nuova ondata di quelli che io chiamo tatuatori/esecutori, quelli che si limitano a riprodurre soggetti sempre uguali, spesso con scarse capacità tecniche ma con una certa spigliatezza nell'uso dei social... era inevitabile dal momento che c'è un vasto pubblico come clientela. Di una cosa però sono certo: nessuno toglie lavoro a nessuno, se sei bravo e proponi cose tue imponendoti con un tuo stile ben definito avrai sempre clienti, come ti ho detto prima la qualità vince sulla quantità.

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