Ci sono voluto più di 30 anni, ma finalmente siamo passati dall’uomo che non deve chiedere MAI di Denim alla Gillette che mette in discussione il suo storico slogan “Il meglio di un uomo”; trasformandolo in “è questo il meglio che un uomo può essere?”. La nuova pubblicità di Gillette non è tanto (o non solo) un esplicito supporto al movimento #MeToo; è una riflessione sui “classici comportamenti maschili” all’insegna del boys will be boys dietro i quali si nascondono mansplaining, molestie e abusi di varie forme. E dietro i quali si nasconde anche una tollerante – anzi, compiaciuta – accettazione della violenza tra uomini.

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Nello spot si immagina un mondo in cui qualcuno di noi è in grado di interrompere una rissa tra ragazzini senza sentirsi per questo una fighetta (il termine è usato volutamente); è in grado di fermare chi pensa che una ragazza vestita con gli shorts rappresenti una sorta di via libera a fischi, apprezzamenti e inseguimenti non desiderati; è in grado di capire che sono anche gli uomini a dover chiedere conto dei loro comportamenti (in questo, riprendendo le parole dell’attore, attivista ed ex giocatore della NFL Terry Crews).

Niente di straordinario, giusto? Negli ultimi anni qualcosa sta iniziando a cambiare nella percezione che noi stessi abbiamo di comportamenti messi in opera per lunghissimo tempo (e che magari abbiamo attuato anche noi in prima persona); e questo anche per merito del caso Weinstein e del movimento #MeToo sorto nello stesso periodo, che è riuscito a creare una breccia nell’immutabile convinzione maschile e maschilista che certi comportamenti siano delle ragazzate nel peggiore dei casi e la naturale espressione dell’istinto maschile nel migliore.

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courtesy Gillette

Qualcosa starà anche cambiando, ma evidentemente solo in settori limitati della società. Non che ci sia da stupirsi, visto che, al momento, l’uomo più potente del mondo è uno che si vantava di afferrare le donne direttamente per la fi*a e che è sufficiente mostrare sui libri di scuola varie forme di famiglia per scatenare gli strali degli anti-gender (senza dimenticarci del nostro meraviglioso ministro della Famiglia, secondo cui “le famiglie gay non esistono”).

In verità, siamo ancora immersi nel terrore di perdere ciò che pensiamo rappresenti la nostra mascolinità eterosessuale; al punto da temere che prendere certe posizioni possa essere il chiaro indizio di una malcelata inclinazione gay. E infatti lo spot della Gillette ha scatenato eserciti di “uomini veri”, che si sono ribellati contro questo “assalto globale alla mascolinità”. La rivista di estrema destra The New American ha attaccato il messaggio denunciando come “rifletta parecchie supposizioni false” e ricordando a tutti che “l’uomo è il sesso selvaggio, che rappresenta la sua pericolosità ma anche il suo dinamismo”.

C’è anche chi si è spinto più in là, accusando Gillette di voler far passare l’idea che tutti i suoi clienti siano potenziali molestatori e chiamando all’inevitabile boicottaggio. Al momento, su YouTube lo spot ha 270mila dislike e 40mila like; segnale di come abbia toccato un nervo scoperto e fatto saltare sui sedili dei loro pick-up schiere di uomini in canottiera con lo stuzzicadenti in bocca.

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Gillette

Tutto questo non sembra aver scalfito Gillette (e la società proprietaria, Procter & Gamble) che ha fatto sapere che lo spot è solo una parte di una più ampia iniziativa per promuovere “versioni positive, inclusive e salutari di cosa significhi essere un uomo”. Sul sito si legge: “Da oggi in avanti, ci impegniamo a sfidare attivamente gli stereotipi e le aspettative di cosa significa essere un uomo in ogni cosa che porti il marchio Gillette. Nelle pubblicità che produciamo, nelle immagini che pubblichiamo sui social media, le parole che scegliamo e molto altro ancora”.

La mossa sarà anche dettata, inevitabilmente, da ragioni commerciali; ma questo non toglie che possa contribuire a fare la sua piccola parte nell’enorme processo di rivisitazione (e per certi versi ribaltamento) di cosa significhi “comportarsi da uomo”. Un processo che, considerando le reazioni isteriche che suscita tra i difensori del maschio tradizionale (e reazionario), sta mettendo in luce anche la profonda insicurezza che circonda una certa visione della nostra identità di genere.

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Andrea Daniele Signorelli

Giornalista classe 1982, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per La Stampa, Wired, Domani, Esquire, Il Tascabile e altri. È autore di “Technosapiens: come l’essere umano si trasforma in macchina” (D Editore, 2021)