A Piazzale Loreto c’è ancora posto, a quanto pare. Talmente tanto che Gli Irriducibili, gli ultras della Lazio di simpatie notoriamente fasciste, si sono ritrovati nel piazzale prima di andare allo stadio San Siro (dove stasera si gioca la semifinale di Coppa Italia tra il Milan e la squadra biancoceleste) srotolando lo striscione “Onore a Benito Mussolini”. La polizia sta facendo le dovute indagini e il Sindaco di Milano Beppe Sala ha già preso le distanze dal gesto, ribadendo l’anima storicamente antifascista della città. Questi i fatti.

Oggi, 24 aprile, vigilia della Festa della Liberazione, un gruppo di tifosi che da anni si dichiara apertamente fascista, è andata sul luogo in cui è stato esposto il cadavere di un dittatore violento e sanguinario (no: il nostro non è stato un regime soft come spesso si usa dire) per tributargli onore — altra parola centrale del vocabolario fascista. L’ultimo gesto di un’ideologia con cui non abbiamo mai fatto veramente i conti, che non se n’è mai veramente andata, e che da anni sta facendo delle prove generali attraverso un progetto culturale, comunicativo e di entrismo politico.

La minaccia del fascismo alla vigilia della Festa della Liberazionepinterest
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Non chiamiamola provocazione, vi prego. La provocazione è una goliardata, una ragazzata. Qui si sta trattando di una strategia ben precisa atta a sdoganare un’ideologia. E non nascondiamoci dietro lo spauracchio dei partiti fascisti che alle elezioni prendono sempre percentuali da prefisso telefonico (di Milano o di Roma, tra l’altro). Perché se da un lato è vero che Forza Nuova e Casa Pound mai avranno uno specifico peso parlamentare, dall’altro ci sono partiti “tradizionali” che hanno per anni tentato di riportare in auge il fascismo.

Da Silvio Berlusconi che ha sempre cercato di essere apparentemente leggero sul tema prendendo però le distanze dal 25 aprile come festa laica e fondativa della Repubblica; alla Lega Nord che, prima con Mauro Borghezio (storicamente “ambasciatore” verde presso i circoli neri che più neri non si può) e poi con Matteo Salvini che dialoga con Marine Le Pen, si fa vedere sempre con le divise delle Forze dell’Ordine e giorno dopo giorno sdogana l’uso delle armi e addita Lo Straniero, L’Altro come nemico; fino alla farsa-al-tempo-stesso-tragedia di Giorgia Meloni che candida Caio Giulio Cesare Mussolini (non è un nome: è un manifesto programmatico) alle Europee mentre l’altra Mussolini, Alessandra, cerca di attirare l’attenzione quando Jim Carey tratta suo nonno per quello che è stato: un dittatore sanguinario.

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Se aggiungiamo inoltre la benevolenza a mezzo click che la stampa e i media hanno tributato per anni a Casa Pound e Forza Nuova (fino al paradosso dei “dibattiti” organizzati nella sede di via Napoleone III a Roma con grossi calibri del giornalismo come Enrico Mentana, Nicola Porro e Corrado Formigli) e la capacità di usare i social network per far passare messaggi di odio e di esclusione (come spiegano Dominique Albertini e David Doucet in La fasciosfera), creare comunità e possibilità di aggregazione per i giovani e i più giovani (come ha illustrato Cristian Raimo in Ho 16 anni e sono fascista), e un più generale rebranding capace di inglobare un po’ tutto (si segua a proposito il lavoro di Elia Rosati sui fascismi del terzo millennio), si vede come il “progetto” di ritorno del fascismo non va preso sottogamba e che quello che sta succedendo non è una provocazione, non è un gesto isolato, non è un episodio.

Quello che sta succedendo è il compimento di un discorso contro-egemonico che sta diventando predominante come Spirito del Tempo. È una lunga notte, questa, e bisogna sapere come affrontarla. Domani è il 25 aprile e le piazze di tutto il paese si riempiranno di bandiere, di fazzoletti, di parole bellissime e ricordi stupendi. Quello che dobbiamo fare è non cedere alla consolazione della nostalgia, ma usare quella storia per ricordarci da dove veniamo. Nel 1946 tutte le forze politiche si sono unite per scacciare il tumore che stava uccidendo l’Italia. Dai comunisti ai socialisti, dai liberali ai democristiani. Tutti uniti contro il fascismo. Hai voglia a chiamarla festa divisiva!

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Del resto, da che parte stare è la scelta. E lo è soprattutto oggi che rischiamo di ritrovarci quelle stesse idee e quegli stessi programmi politici dentro le camere elettive (attraverso altri partiti) e fuori, nelle strade, nelle piazze, attraverso gesti che se non si ha la forza di controbattere (non censurare: perché la censura è la benzina che alimenta il loro senso di esclusione e permette loro di coagularsi sentendosi “soli contro tutti”), rischiano di portare a conseguenze ben più gravi di uno striscione vergognoso in una piazza dove la Storia è passata per restare.