“Partorita nel 1900 da un tennista, uccisa nel 2018 da un calciatore”. È l’epitaffio che qualcuno potrebbe scrivere per ricordare la Coppa Davis che in questo weekend a Lille celebrerà la sua ultima finale: Francia-Croazia. Dal prossimo anno, non esisterà più. Diventerà una specie di Mondiale del tennis. Si disputerà in una settimana in un’unica sede - a Madrid - con 18 Nazionali. Sarà organizzata dal fondo d’investimento Kosmos che è guidato dal difensore del Barcellona Gerard Piqué. È stato proprio un esponente di quello sport da “villici” che è il pallone - per i gentleman della racchetta of course - a decretare la fine della più prestigiosa e celebre istituzione tennistica.

Un’onta che in un’altra dimensione starà facendo tremare di rabbia Dwight F. Davis, l’uomo che nel 1900 creò l’ossimoro di una competizione a squadre nella più individuale delle discipline sportive. E spesso in palazzetti con tifo decisamente più calcistico che tennistico. Per le squadre vincitrici aveva previsto un trofeo ribattezzato l’insalatiera. Con una formula semplice che impegnava i week-end: due singolari il venerdì, il sabato doppio e la domenica gli ultimi due singolari (a tennisti invertiti).

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Nemmeno sua maestà Roger Federer, che ha alzato l’insalatiera nel 2014, ha digerito l’intromissione del calcio: "La Coppa Davis non può diventare la Coppa Piqué, È un po’ strano vedere un calciatore intromettersi così negli affari del mondo del tennis". Anche se il difensore del Barça ha avuto un cavallo di Troia in quest’ impresa: Djokovic. E nulla sarebbe stato possibile senza l’avallo della Federazione internazionale guidata dall’americano Haggerty.

In Francia sono quasi giornate di lutto nazionale, ma va ricordato che la Federazione parigina ha votato a favore della riforma. Loro, i francesi, la Coppa l’hanno vinta dieci volte, sei di fila - dal 1927 al 1932 - con i leggendari quattro moschettieri: Borotra, Brugnon, Cochet, Lacoste. L’Equipe ha firmato un articolo violentissimo: “Bisogna essere senza cuore per firmare la dichiarazione di morte di una manifestazione unica come la Davis”. E alla domanda: “chi ha potuto convincere i delegati del Federazione internazionale a votare in questo modo?” è seguita la risposta: "I soldi. E ancora i soldi". Trenta milioni di dollari per i prossimi 25 anni.

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La fine della Coppa Davis è come l’addio alle partite domenicali di calcio, tutte il pomeriggio alla stessa ora. È l’addio a Carosello. Al telefono fisso, alla benzina super. Ci siamo capiti. Segna un prima e un dopo. L’ingresso in una nuova era, è il 1492 della racchetta. La Coppa Davis è sempre stata la cena natalizia con i vecchi nonni che a dispetto delle previsioni si facevano trovare lì anche l’anno successivo. E ciascun nipote, alla fine, desiderava esserci e primeggiare: da Borg a Federer appunto. Un curriculum senza Coppa Davis era considerato una macchia. Da tutti, nessuno escluso.

Anzi, solo uno: Jimmy Connors, l’antipatico, lo scontroso, lo yankee, l’uomo che ha sempre considerato la Davis una perdita di tempo (e di soldi). Al contrario del suo rivale e connazionale John McEnroe che invece adorava la competizione al punto da essere il tennista statunitense con più match giocati. Ne vinse uno storico, nel 1982, al quinto set contro Mats Wilander: sei ore e ventidue minuti. Un record di durata che ha resistito trentatré anni. La Coppa Davis ha sempre rappresentato il paradiso dei nostalgici. Il tie-break venne introdotto nel 1989, quasi vent’anni dopo i normali tornei individuali. E nel quinto set soltanto nel 2015.

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Come ogni evento che si rispetti, è stata anche storia del costume. L’unica vittoria dell’Italia - nel 1976 - fu segnata da un acceso dibattito politico e dall’opposizione del Partito comunista contrario a disputare la finale nel Cile di Pinochet. Erano gli anni della Guerra fredda. Finì come sappiamo. Con Panatta e Bertolucci che in doppio, per il punto decisivo, scesero in campo con le magliette rosse. Quella squadra disputò quattro finali in cinque edizioni. E rese popolare uno sport fin lì considerato d’élite.

Nei tanti racconti della Davis c’è anche una finale vinta per assenza dell’avversario: nel 1974, quando l’India non volle andare in Sudafrica per protesta contro l’apartheid. C’è persino un suicida: il giapponese Jiro Sato, che nel 1934 si gettò dalla nave che stava accompagnando la sua Nazionale in Europa per affrontare l’Australia. Non resse le pressione e lasciò due lettere in cui spiegò le motivazioni del suo gesto.

La Coppa Davis chiude il libro lasciando a Nicola Pietrangeli il primato del tennista con più incontri disputati: 164. Comincia una nuova era: tutto racchiuso in una settimana, con una formula a gironi che ha le potenzialità per affascinare e fare audience. E, perché no, alimentare anche qualche polemica su possibili “biscotti”. L’epoca delle cene natalizie con i nonni è finita. Dopo 118 anni.

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