Quando scenderà in campo domenica a Parma, saranno passati 57 giorni dal suo ultimo gol. Quasi due mesi, un'eternità per chi appena un paio di stagioni fa si imponeva come la più sorprendente delle scoperte fortuite del calcio italiano, il falso nueve che nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare e che invece il Napoli, un po' per caso, riuscì a pescare in fondo al barile delle scelte disperate. Dries Mertens non è più lui, non è più Ciro, il ragazzo sorridente che guizza tra i difensori avversari coi suoi dribbling, i suoi tocchi di palla felpati, quei cambi di direzione repentini e imprevedibili. Non segna più da tanto, ma ancora peggio appare spento, senza mordente, come se qualcosa si fosse spezzato.

Dicono i maligni che un'estate fa, di rientro dal Mondiale, Mertens avesse la testa parecchio distante da Napoli, lo sguardo puntato verso oriente e quella Cina che non offrirà grandi scenari di carriera ma che a un giocatore che ha superato i 30 anni propone comunque qualcosa di interessante: un contratto con tante cifre per poter poi andare in pensione un po' più sereno. Di certo c'è che Ciro ha subito più di tutti il cambio di allenatore e sistema, patendo emotivamente e tatticamente l'addio dell'allenatore che l'aveva inventato centravanti trasformandolo da ala di scorta a titolare inamovibile.

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A Mertens manca Maurizio Sarri, e con Ancelotti, diciamolo, il feeling non è mai scattato. Carletto ha fatto capire fin da subito di preferire i centravanti veri, quelli come Milik, poi ha fatto mezzo passo indietro, ma appena ne ha avuto l'occasione è tornato ad Arek. E ora che il polacco, nonostante qualche passaggio a vuoto, è senza ombra di dubbio la soluzione offensiva più affidabile della squadra, riprendersi il posto per Ciro è diventato impossibile.

C'è stato un periodo in questa stagione, in cui Mertens sembrava tornato quello capace di segnare 28 gol in campionato e contendere il titolo di capocannoniere a Edin Dzeko, ma quella finestra è durata troppo poco, giusto lo spazio di 10 partite, tra il gol decisivo col Milan alla seconda giornata e la tripletta rifilata all'Empoli all'undicesima. In mezzo Ancelotti si è inventato un nuovo modulo, per far giocare Dries e Insigne entrambi vicino alla porta. Ne ha beneficiato maggiormente Lorenzo, perché il belga è sembrato quasi soffocato dall'ingombrante presenza, così vicina, del compagno che all'inizio della sua avventura napoletana lo costringeva alla panchina.

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Ma più di tutto e più di tutti Dries ha pagato il rallentamento di una manovra che non è più fatta di tocchi di prima e triangolazioni al limite dell'area, che appare meno ampia e avvolgente, meno sicura e immediata di quella di Sarri. Sì, è vero, il Napoli non gioca bene come un anno fa, e Mertens sembra il giocatore che ha meno strumenti per adattarsi alla nuova situazione. Non ha l'importanza tattica di Callejon, non ha le intuizioni di Insigne, non ha la fisicità di Milik. E allora sta in panchina.

Il guaio è che quando gioca sembra non accendere più quei ricettori nervosi che l'avevano trasformato nel più letale dei serpenti velenosi d'area di rigore. Giovedì Mertens aveva l'occasione migliore per sbloccarsi, con lo Zurigo in Europa League, un avversario morbido per tornare a mordere e ritrovarne il gusto. Il Napoli ha vinto, ma hanno segnato Verdi e Ounas. Mertens no, e poco importa se anche Insigne è rimasto a secco e se Milik, una volta entrato, si è divorato la palla del 3-0, qui non conta il detto “mal comune, mezzo gaudio”.

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Dries appare lontano da Napoli, lontano da quel giocatore che è stato forse solo per lo spazio di due stagioni. Ma è lontano anche dagli anni vissuti da ala, prolifici con la maglia del Psv Eindhoven, meno col Napoli. Non ha la continuità del Mertens 2016-2017, ma nemmeno gli spunti improvvisi di quello della prima stagione italiana. E lo sguardo torna a puntare la Cina, complice un contratto che scadrà tra un anno e mezzo che probabilmente non verrà rinnovato. La sensazione è quella di trovarsi davanti ai titoli di coda di una storia che ha vissuto un paio d'anni di passione intensa, ma che ora sembra essere agli sgoccioli. Ancora qualche mese, poi Ciro non ci sarà più. Tornerà Dries, solo e semplicemente Dries, a meno che non ci pensino i cinesi a trovargli un nuovo soprannome.