di Lucia Bianchini
Di prostituzione, di tratta umana e di come raccontare nei giusti termini questi fenomeni si è discusso nella sala del consiglio comunale nella mattinata di sabato 6 ottobre, durante il convegno “Prostituzione e tratta umana: l’informazione giornalistica tra ideologie politiche e pregiudizi di genere”.
Di come si rappresenta il fenomeno prostitutivo in Italia ha parlato Andrea Morniroli, della cooperativa sociale Dedalus, sottolineando che ci sono due grandi limiti: gli operatori usano un linguaggio spesso criptico e il dibattito politico sull’argomento si ferma alla rappresentazione del fenomeno, c’è una visione semplicistica, che giudica invece di comprendere e rincorre le percezioni. Morniroli porta un esempio: “A Napoli ogni sera in strada dal 2000 ad oggi non abbiamo mai superato le 100 presenze contemporanee per quanto riguarda la prostituzione. Di queste, 80 stanno in luoghi in cui se non si è poliziotti, operatori o clienti, non le si vede. 5 o 6 di esse disturbano le ‘percezioni’ e su queste si costruisce il problema”. L’obiettivo diventa dare centralità alla realtà, e si può fare questo accettando la complessità del fenomeno, e migliorando il governo dei flussi migratori. Il sistema nazionale anti tratta è messo in crisi, infatti solo nel 2016, mischiate e confuse tra i richiedenti asilo, sono arrivate 11mila donne nigeriane inserite da organizzazioni criminali nella tratta, che sono poi scaricate sul sistema dell’accoglienza straordinaria, per cui non sono state stanziate risorse aggiuntive”.
Molto si è dibattuto anche in merito al linguaggio da utilizzare per parlare di prostituzione: “il linguaggio è un riflesso delle reazioni sociali ad un fenomeno – ha sottolineato Giorgia Serughetti- ricercatrice del dipartimento di sociologia dell’Università di Milano- Bicocca- l’uso stesso del termine ‘prostituta’ può essere molto discusso, ancora utilizzati come sinonimi sono meretrice, passeggiatrice, stradaiola, squillo ed escort. La prostituta è vista come qualcosa di sporco, di fuori posto, come le scarpe sul tavolo, una minaccia perfino quando è vittima. Non si è diffuso in ambito mediatico l’uso del termine ‘sex workers’, usato invece dagli operatori”.
La giornalista Mara Cinquepalmi, segretaria nazionale di Gi.U.Li.A, ha puntualizzato il ruolo dell’informazione per superare pregiudizi: “Il linguaggio è un tema molto complesso, e non è neutro: l’uso di un termine anziché di un altro può creare o superare stereotipi. Lo scorso anno abbiamo lavorato al manifesto di Venezia, un impegno firmato da 800 giornalisti per raccontare la violenza lontano dagli stereotipi”.
All’incontro è intervenuta anche Pia Covre, fondatrice del movimento per i diritti civili delle prostitute.
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