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La ragazza di Bascarsija, Sarajevo

A Bascarsija, quartiere di Sarajevo, una ragazza con il velo è seduta sul gradino d’entrata del suo negozio in attesa di qualche cliente, nel mentre fuma una sigaretta e legge un libro. Il resto è una suggestione ad occhi aperti.

Leggi la recensipone de La guerra dei dieci anni. Jugoslavia 1991-2001

Bascarsija è un quartiere musulmano di Sarajevo. O meglio, lo è per la maggior parte, dove finisca precisamente e dove inizi un altro quartiere non l’ho mica capito, di certo però ci sono due elementi che ti fanno capire di essere uscito dall’aerea strettamente musulmana: l’architettura e la possibilità di acquistare alcol. Girovagare per Bascarsija è tipico del turista, d’altronde quando visiti una città per la prima volta non puoi saltare certo i luoghi simbolo, i passaggi da guida turistica. Per altro saltare Bascarsija quando si gira per Sarajevo sarebbe una stronzata bella e buona.

Per le viuzze un miscuglio di gente e culture: tanti turisti certo, ma anche donne velate (sia integralmente sia parzialmente) che si salutano con donne con il vestito estivo succinto, un’idea di convivenza che si sprigiona dietro ogni angolo. E poi, passeggiando curioso, eccola lì, seduta davanti al suo negozio.

Una ragazza con il velo che, in attesa di qualche cliente, fuma una sigaretta mentre legge un libro. L’immagine di un futuro migliore, di una libertà gridata a discapito dell’abbigliamento, un pugno in faccia ai pregiudizi. In una città multietnica, affossata dalla recente guerra, lei si staglia con il suo gesto quotidiano, senza pretese ma gravido di attese. Il suo riscatto passa dalla ricerca di normalità, il nostro riscatto passa dall’accettazione della sua verità.
La ragazza non si occupa di noi, di nessuno di noi, la sua bellezza non ha bisogno di approvazione, per palcoscenico è sufficiente quel gradino, la sua attenzione è concentrata su quelle righe, le sue labbra desiderano solo un altro tiro di sigaretta. Ed io la ammiro nel suo essere islamica e donna libera, nel suo insegnarci, senza averne l’aria, un mondo migliore privo di pregiudizi occidentali e di umiliazioni religiose.
Le sono passato oltre, lei non ha mai alzato gli occhi dal libro, non vuole la mia ammirazione, vuole solo leggere e fumare, e magari qualche cliente che entri a comprare qualcosa, non prima però di aver finito la sigaretta e il capitolo. Per poi rientrare in negozio e progettare il proprio futuro altrove, o forse la propria resistenza in quella città difficile ma desiderosa di riscatto, o forse, più semplicemente, la serata con le amiche.

Cosa ne so io di multiculturalità? In Italia non siamo ancora pronti, il diverso è visto ancora come un’eccezione e quando non lo è più diventa un’abitudine fastidiosa, se va bene.
Cosa ne so io di multiculturalità a Sarajevo? Si sono fatti male a vicenda, gli uni contro gli altri, eppure vivevano fianco a fianco da molto tempo. Dove si è insidiato il seme della discordia, quando hanno iniziato a credersi superiori agli altri? Come ci si deve sentire quando il proprio vicino di casa passa dal saluto all’odio?
Cosa ne so io di guerra? Per mia fortuna nulla, nonostante mi sia accaduta di fianco non l’ho vissuta, l’ho guardata da lontano.
Cosa ne so io di islam? Poche informazioni raccolte male, invettive e pregiudizi ascoltati per strada, ma non ho mai vissuto all’interno di una comunità islamica, non li conosco
Cosa ne so io di cosa stava leggendo quella ragazza? Magari teneva in mano un manuale su come farsi saltare in aria coinvolgendo il maggior numero di vittime.
Cosa ne so io della libertà di quella ragazza? Quel velo è una scelta libera o un’imposizione da cui non riesce a svincolarsi?
Cosa ne so io del riscatto in una città in ginocchio dopo la guerra? La ragazza cerca riscatto o subisce la morte dei propri sogni?

Non so nulla di tutto questo, ma la suggestione scaturita da quella ragazza a Sarajevo me la tengo stretta, perché a volte non conta ciò che è vero, ma ciò che siamo disposti a sperare possa essere vero; non dobbiamo per forza inseguire la realtà, a volte può essere un nostro sogno ad imbeccarla. E poi non sto facendo male a nessuno conservando questo ricordo posticcio, e finché non faccio male a nessuno non riesco a sentirmi in colpa.

Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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