Papa Francesco chiede di applaudire Angelelli e gli altri martiri dell’Argentina, massacrati mentre il nunzio apostolico giocava a tennis con i generali

“Penso che quel giorno (quello della morte di monsignor Angelelli) qualcuno sia rimasto contento, abbia creduto che era il suo trionfo, ma è stata invece la sconfitta degli avversari. Uno dei primi cristiani ci lasciò una bella frase: sangue di martiri, seme di cristiani”. Sono parole – riportate nel 2014 da Maribé Ruscica sul Sir – pronunciate dal cardinale Jorge Mario Bergoglio per ricordare il vescovo Angelelli nel 2006, durante l´omelia della messa da lui presieduta nella Cattedrale di La Rioja, in occasione del trentesimo anniversario della morte del pastore. Proprio l’arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza Episcopale Argentina aveva voluto annunciare la decisione della Chiesa locale di intervenire come parte “querelante” nel processo per la morte di Angelelli riaperto nel 2005, dopo l´annullamento delle leggi di “Punto Final” e “Obediencia Debida” approvate in Argentina negli anni 1986 e 1987.

Divenuto Papa, Bergoglio ha favorito la causa di beatificazione di Angelielli e oggi al Regina Caeli ha chiesto ai fedeli presenti in piazza San Pietro di applaudire i nuovi beati martiri dell’Aregentina proclamanti ieri in suo nome dal cardinale Angelo Giovanni Becciu: “Cari fratelli e sorelle,
ieri a La Rioja, in Argentina, sono stati proclamati Beati Enrique Angel Angelelli, Vescovo
diocesano, Carlos de Dios Murias, francescano conventuale, Gabriel Longueville, sacerdote fidei donum, e Wenceslao Pedernera, catechista. Questi martiri della fede sono stati perseguitati per causa della giustizia e della carità evangelica. Il loro esempio e la loro intercessione sostengano in particolare quanti lavorano per una società più giusta e solidale. Facciamo un applauso ai nuovi Beati!”

Figlio di emigranti italiani radicati nella provincia di Cordoba (Celia Carletti e Giovanni Angellelli, i suoi genitori) Enrique Angelelli era nato il 17 luglio del 1923 ed era entrato nel Seminario della Vergine di Loreto a quindici anni. Aveva studiato Teologia a Roma, nel Collegio Pio Latino, e Diritto Canonico nella Pontificia Universita Gregoriana. Nel 1949 era stato ordinato sacerdote ed era tornato in Argentina nel 1951. Nominato vescovo ausiliare di Cordoba nel 1960, lavorò sempre vicino alla gioventù operaia e universitaria cattolica e partecipò attivamente in diversi conflitti sindacali, segnando un coinvolgimento episcopale poco usuale nel Paese e avversato nei circoli cattolici più conservatori.

Fu nel 1968, dopo avere partecipato alle sessioni del Concilio Vaticano II, che Angelelli arrivò a La Rioja come Vescovo, nominato dal Papa Paolo VI. La sua pastorale é stata caratterizzata sin dall’inizio dal suo impegno in favore dei lavoratori e dal suo interesse per l’organizzazione cooperativa dei contadini. Angelelli conosceva bene la realtà della provincia, minacciata da profondi squilibri sociali e divisa tra poche famiglie benestanti, proprietari agrari e di ricchezze minerarie e la maggioranza della popolazione, molto povera, dedita al lavoro dei campi o alla pastorizia. Ma erano tempi di governi militari e nel 1970 la messa radiofonica che il vescovo celebrava dalla cattedrale per l’intera diocesi fu proibita. Lo sviluppo che il Movimento Rurale Diocesano ebbe tra il ’71 e il ’72 e la creazione della Cooperativa “Amingueña Ltda”, che proponeva l’espropriazione di un latifondo per lavorare in forma solidale le terre improduttive lo collocarono in contrasto aperto con il governo di fatto. Dopo le elezioni del 1973, la messa via radio tornò a essere autorizzata ma presto cominciarono le persecuzioni contro il vescovo e i suoi sacerdoti, tacciati di comunismo. Fu in quel contesto che il 13 giugno del 1973, mentre partecipavano della festa patronale di Sant’Antonio nel borgo di Anillaco, monsignor Angelelli e i suoi sacerdoti furono oggetto di una sassaiola organizzata dagli agrari della zona che reclamavano la loro espulsione.

A questi tristi episodi si è riferito lo stesso Bergoglio nell’omelia del 2006. E´stata la giornalista Virginia Bonard, nel suo libro “La nostra fede è rivoluzionaria”, a trascriverne alcuni paragrafi: “Sono arrivato a La Rioja per la prima volta in un giorno storico, il 13 giugno 1973, il giorno della sassaiola di Anillaco. Eravamo cinque Consultori di Provincia ed il Provinciale per fare un ritiro spirituale e riflettere prima di scegliere il nuovo Provinciale. Il 14 giugno, dopo quell’attacco contro il vescovo, i sacerdoti, le religiose, monsignor Angelelli ci ha offerto il ritiro spirituale(…). Sono state giornate indimenticabili, in cui abbiamo goduto della saggezza di un pastore che dialogava con il suo popolo e abbiamo ricevuto anche le confidenze sulle sassate che ricevevano quel popolo e quel pastore per il semplice fatto di seguire il Vangelo. Ho trovato una Chiesa perseguitata, intera: popolo e pastore”. E poi il Papa prosegue con il ricordo personale della visita di Padre Arrupe, Generale della Compagnia, due mesi dopo, il 14 agosto del 1973: “Siamo arrivati da Cordoba a bordo di un piccolo aereo e lì, insieme al padre Arrupe e al padre Di Nillo, abbiamo visto un’altra cosa: quando l’aereo è giunto all’inizio della pista, il pilota ha ricevuto l’intimazione di fermarsi. Il vescovo (Angelelli) viene a riceverci con una macchina e dice: ‘Abbiamo fatto fermare l´aereo qui perché fuori ci sono quelli che due mesi fa fecero la sassaiola e ci attendono per fischiarci e insultarci’. Per fischiare il Generale della Compagnia di Gesu che veniva a visitare i suoi gesuiti e ovviamente restare con il vescovo, con il pastore e il suo popolo”.

Nel 1974, essendo Angelelli a Roma, gli avevano suggerito di non tornare in Argentina perché si era saputo che il suo nome figurava nell’elenco di persone minacciate dalle forze parapoliziali di “Las Tres A” (Alianza Anticomunista Argentina). Il vescovo tornó alla sua diocesi e dopo il colpo di stato di marzo del ’76 levò ancora più forte la sua voce per denunciare le violazioni contro i diritti umani e la persecuzione della Chiesa di La Rioja. Per chiedere protezione per i suoi sacerdoti, andò a incontrare perfino il comandante Menendez, ora condannato all’ergastolo, che allora gli disse di “stare attento”. Alla sua familia confessò: “Ho paura, ma non si può nascondere il Vangelo sotto il letto”.

La repressione si accentuò e il 18 luglio del ’76 furono sequestrati, torturati e assassinati i sacerdoti della sua diocesi, Carlos de Dios Murias y Gabriel Longueville. Il 4 agosto, quando Angelelli, insieme al padre Pinto, tornava da Chamical alla cittá di La Rioja dopo la novena per i preti assassinati, la sua Fiat 125 fu bloccata da un’altra macchina, facendola rovesciare. Il corpo di mons. Angelelli fu estratto dalla macchina, bastonato e abbandonato sulla Ruta 38, con le braccia aperte, steso come in croce. La teoria dell’incidente stradale pretese di occultare l’omicidio e l’indagine giudiziaria fu rapidamente archivata. Nel 1983, col ritorno alla democrazia, la causa fu riaperta e nel 1986, il giudice Aldo Morales sentenziò che la morte di Angelelli era stato “un omicidio freddamente premeditato” ma i capi militari coinvolti poterono beneficiare delle leggi di “Punto Final” e “Obedienza Debida” del 1986 e 1987 che codificavano l’impunità per le violazioni dei diritti umani. Nel 2005, dopo l´annullamento di quelle leggi, il processo potè essere riaperto e nel 2006 la Chiesa finalmente si è presentata come parte “querelante”.

Con le prove fornite negli ultimi mesi anche da Papa Francesco, tra cui una lettera e un rapporto sull’assassinio dei sacerdoti Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville nel luglio 1976, inviati da mons. Angelelli al Vaticano un mese prima della sua morte, si è resa finalmente giustizia al pastore Angelelli, “un uomo di periferia” come è stato definito dallo stesso Pontefice, un uomo la cui voce non si potrà mai far tacere perché, come diceva il padre Carlos Murias, “non si può mai far tacere la voce del Vangelo”.

In questi giorni di festa per la beatificazione di Angelelli e dei suoi amici uccisi come lui, non si può non rievocare però la brutta pagina rappresentata dal silenzio dell’allora nunzio apostolico Pio Laghi. Secondo un dossier governativo degli Stati Uniti, che raccoglie una serie di documenti declassificati nel 2002 per disposizione del Centro di studi legali e sociali delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, il nunzio Laghi risulta essere in quel periodo il principale interlocutore dell’ambasciata americana. Che sapesse, dunque, è chiaro perché se aiutò alcuni parenti di persone scomparse non poteva essere all’oscuro di tutto quello che accadeva nelle stanze della Scuola di Meccanica della Marina dirette da Emilio Massera, suo compagno in 4 partire di tennis. Laghi, tra l’altro, celebrò le nozze dei figli e battezzò i nipoti dell’ammiraglio. In un libro pubblicato in Italia da Passarelli ed Ellenberg, Laghi spiegò a sua difesa che il suo intento era di sfruttare quella relazione per ottenere delle concessioni a favore delle vittime della repressione. Pio Laghi – come riportato a suo tempo da Adista – è stato menzionato in due testimonianze, n. 1276 e n. 0440, rese di fronte alla Commissione Nazionale sulla Scomparsa di Persone e si tratta di racconti che lasciano sconcertati per la freddezza dimostrata dal presule davanti alle richieste di aiuto di chi si rivolgeva a lui. In alcuni casi (non sempre) intervenne ed aiutò in modo riservato. Ma questo non assolve la sua memoria.