Papa Francesco denuncia i fattori che lacerano la convivenza: integralismo, avidità e ideologie odiose. Poi spiega il Padre Nostro nell’esperienza delle minoranze

Nel mondo di oggi viviamo “una fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini”. Con le parole del documento di Abu Dhabi, Papa Francesco si è rivolto a vescovi, sacerdoti e religiose che praticamente da tutta l’Africa gremivano la Cattedrale di Rabat. Francesco li ha esortati a “smascherare e mettere in evidenza tutti i tentativi di usare le differenze e l’ignoranza per seminare paura, odio e conflitto”. “Perché sappiamo – ha spiegato – che la paura e l’odio, alimentati e manipolati, destabilizzano e lasciano spiritualmente indifese le nostre comunità”.

“Che la vostra carità si faccia sempre attiva e sia così una via di comunione tra i cristiani di tutte le confessioni presenti in Marocco”, è stato l’invito del Papa a favore dell’”ecumenismo della carità”. “Che possa essere – ha auspicato – anche una via di dialogo e di cooperazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani e con tutte le persone di buona volontà”. “È la carità, specialmente verso i più deboli, la migliore opportunità che abbiamo per continuare a lavorare in favore di una cultura dell’incontro”, ha ribadito Francesco: “Che essa – ha scandito – sia quella via che permette alle persone ferite, provate, escluse di riconoscersi membri dell’unica famiglia umana, nel segno della fraternità”.

“I cristiani – ha osservato il Papa – sono un piccolo numero in questo Paese. Ma questa realtà non è, ai miei occhi, un problema, anche se riconosco che a volte può diventare difficile da vivere per alcuni”.

“A che cosa è simile un cristiano in queste terre?”, si è chiesto allora Francesco: “È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti”, la risposta: “Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno”.

“La nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione”, ha ricordato il Papa: “dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze”. In altre parole, “le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo, o una luce che non illumina più niente”.

Per Francesco, “la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi”. Al contrario, “la vita si gioca con la capacità che abbiamo di ‘lievitare’ lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati”. “Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico”, il monito del Papa: “Essere cristiano è un incontro”.

“Che bello è sapere che, in diversi angoli di questa terra, nelle vostre voci il creato può implorare e continuare a dire: Padre nostro!”, ha quindi esclamato il Papa, riportando la testimonianza raccolta da “un sacerdote che si trovava come voi in una terra dove i cristiani sono minoranza”. “Mi raccontava che la preghiera del Padre nostro aveva acquistato in lui un’eco speciale perché, pregando in mezzo a persone di altre religioni, sentiva con forza le parole ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’”.

“La preghiera di intercessione del missionario – ha sottolineato – è anche per quel popolo, che in una certa misura gli era stato affidato, non da amministrare ma da amare, lo portava a pregare questa preghiera con un tono e un gusto speciali. Il consacrato, il sacerdote porta al suo altare, nella sua preghiera la vita dei suoi conterranei e mantiene viva, come attraverso una piccola breccia in quella terra, la forza vivificante dello Spirito”. “È un dialogo che, pertanto, diventa preghiera e che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”,

“Una preghiera che non distingue, non separa e non emargina, ma che si fa eco della vita del prossimo; preghiera di intercessione che è capace di dire al Padre: ‘Venga il tuo regno’”, ha spiegato ancora Francesco a proposito della preghiera per eccellenza del cristiano: “Non con la violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi”.

“Continuate a farvi prossimi di coloro che sono spesso lasciati indietro, dei piccoli e dei poveri, dei prigionieri e dei migranti”, è stata la consegna del Papa, che nella parte conclusiva del suo discorso al clero ha ringraziato i presenti “per quello che avete fatto, come discepoli di Gesù Cristo, qui in Marocco, trovando ogni giorno nel dialogo, nella collaborazione e nell’amicizia gli strumenti per seminare futuro e speranza”.

“Come discepoli di Gesù Cristo, in questo stesso spirito di dialogo e di cooperazione, abbiate sempre a cuore di dare il vostro contributo al servizio della giustizia e della pace, dell’educazione dei bambini e dei giovani, della protezione e dell’accompagnamento degli anziani, dei deboli, dei disabili e degli oppressi”, è stata la raccomandazione finale di Papa Francesco.