Per Papa Francesco in Sri Lanka il male si può arginare solo rinunciando alle vendette (di S. Izzo)

Suonano straordinariamente attuali dopo l’eccidio dei cristiani in Sri Lanka le parole pronunciate da Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì scorso, cioè tre giorni dopo quei tragici fatti dei quali giustamente già il giorno di Pasquetta aveva detto che tutti li devono condannare: “nella vita non tutto si risolve con la giustizia. No. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero. Alla legge del taglione, quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te, Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te!

Dio dona ad ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso. Qual è la cosa preziosa che noi abbiamo ricevuto? Il perdono, che dobbiamo essere capaci di dare anche agli altri”.

Sono affermazioni quelle di Francesco molto impegnative, che appaiono piuttosto dissonanti dalle posizioni della chiesa locale. “Vanno puniti senza pietà, perché solo degli animali possono comportarsi in quel modo”, ha detto infatti parlando dei terroristi il cardinale di Colombo Malcom Ranjith, che richiesto di usare toni meno incandescent ha invece rincarato la dose: “non voglio denigrare gli animali: queste persone sono peggio degli animali”.

Non può esserci pace senza giustizia

Sul tema del perdono in queste situazioni le pagine più 0 le ha scritte Papa Wojtyla nel messaggio per la Giornata della pace 2002, la prima celebrata dopo la tragedia delle Torri Gemelle. “Quanto è recentemente avvenuto, con i terribili fatti di sangue appena ricordati, mi ha stimolato – confidò nell’occasione San Giovanni Paolo II – a riprendere una riflessione che spesso sgorga dal profondo del mio cuore, al ricordo di eventi storici che hanno segnato la mia vita, specialmente negli anni della mia giovinezza.

Le immani sofferenze dei popoli e dei singoli, tra i quali anche non pochi miei amici e conoscenti, causate dai totalitarismi nazista e comunista, hanno sempre interpellato il mio animo e stimolato la mia preghiera. Molte volte mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato? La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono”.

Ma come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme di perdono quali fonti e condizioni della pace?”, si chiedeva Wojtyla sullo sfondo di una strage di proporzioni ancora più grandi di quelle provocate dai kamikaze dello Sri Lanka. ” La mia risposta – ecco le parole del Papa polacco – è che si può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo discorso comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al perdono in termini alternativi. Ma il perdono si oppone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia”.

La vera pace, pertanto, è frutto della giustizia, virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull’equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com’è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono i singoli quanto in quelle di portata più generale ed anche internazionale. Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell’ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali”.

Quanto accaduto il giorno di Pasqua in Sri Lanka andrebbe letto proprio alla luce di queste considerazioni. Dai fatti intanto emergono tre elementi che non si dovrebbero tacere, mentre ameno due di questi sembrano essere messi in ombra, magari per ragioni comprensibili legate al grande dolore di questi momenti.

Il primo elemento su cui tutti concordano è l’esistenza di un orrendo piano criminale messo in atto con fredda determinazione da cellule terroristiche di matrice islamica delle quali l’Isis rivendica la paternità (ma non sappiamo quanto sia vero). Questo dato incontrovertibile iscrive la strage di Pasqua nelle persecuzioni contro le minoranze cristiane.

Ma ciò premesso bisogna considerare i due altri elementi ovvero la situazione che vive in Sri Lanka la componente Tamil, sottoposta ad una notevole discriminazione sociale. Nella periferia di Colombo, ad esempio, migliaia di Tamil vivono accampati sotto gli alberi proteggendosi con teloni di plastica. Condizioni che li condannano a restare ai margini di una società che invece sta rapidamente crescendo sotto il profilo economico e tecnologico. Un progresso che non raggiunge la seconda componente etnica del paese.

La segregazione razziale in Sri Lanka

Dieci anni fa in Sri Lanka si è conclusa una guerra civile violentissima durata 26 anni che uccise 100mila persone. La guerra si combatté tra l’esercito srilankese e le Tigri Tamil, un’organizzazione di etnia tamil che rivendicava la creazione di uno stato indipendente nel nord e nell’est dello Sri Lanka. Si riuscì a raggiungere una “pace” solo nel 2009, quando le Tigri Tamil furono definitivamente sconfitte dall’esercito srilankese alla fine di una durissima repressione ordinata dal presidente Mahinda Rajapaksa. Da allora in Sri Lanka è cominciato un lungo e complicato processo di riconciliazione tra il governo e i tamil, di cui si sta occupando anche il Consiglio per i diritti umani dell’ONU (UNHCR).

Da parte sua, nel 2025 il governo di Colombo si è impegnato ad avviare un processo di riconciliazione in vari punti, per lo più presentati nel 2015 dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU: la creazione di un ufficio per le persone scomparse, che ricostruisca la sorte delle migliaia di persone sequestrate o uccise durante la guerra; la sostituzione della legge sulla prevenzione del terrorismo, che permette alla polizia di tenere in custodia i sospettati di reati di terrorismo per 18 mesi senza processo; e soprattutto i risarcimenti alle famiglie le cui terre sono state confiscate o distrutte nella guerra. Il piano di riconciliazione dovrebbe prevedere anche l’istituzione di una commissione competente a chiarire alcuni episodi controversi della guerra e – proposta più controversa – la creazione di un tribunale misto che includa anche giudici e avvocati stranieri e che valuti le responsabilità delle peggiori atrocità commesse durante il conflitto.

Il problema, ha raccontato l’Economist, sono soprattutto i nazionalisti singalesi, molto restii a fare concessioni ai tamil e soprattutto ostili alla creazione di tribunali misti che includano giudici stranieri.

In tale situazione si sono verificati quegli orribili attentati del giorno di Pasqua.

Il viaggio di Francesco nel 2015

Il terzo fattore che va considerato è il ruolo che la Chiesa può giocare in Sri Lanka a favore della pace e della riconciliazione.

Nel gennaio di quattro anni fa Papa Francesco è stato in Sri Lanka in visita pastorale affidando al laicato cattolico locale, rappresentata in entrambe le componenti etniche, un compito non facile: contribuire a far superare l’amara eredità lasciata dal conflitto. “Si può realizzare solo superando il male con il bene, coltivando le virtù che promuovono riconciliazione, pace e solidarietà e perseguendo la verità”. Fondamentale che tutti i membri della società lavorino assieme, che tutti abbiano voce, accettandosi l’un l’altro e imparando a vivere come un’unica famiglia: la diversità non è una minaccia, ma una fonte di arricchimento: “Sono convinto – ha scandito il Pontefice – che i seguaci delle varie tradizioni religiose hanno un ruolo essenziale da giocare nel delicato processo di riconciliazione e ricostruzione in corso nel Paese. Fondamentale la promozione della dignità umana, provvedere ai bisogni materiali di ciascuno e quindi ad un miglioramento delle infrastrutture. Francesco augura che questi giorni in Sri Lanka siano nel segno dell’amicizia, del dialogo e della solidarietà”.

Salvatore Izzo per il blog Il Papa pop su Agi.it