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Draghi boccia i sindacati sulle pensioni: nemmeno il Pd li segue

Cgil, Cisl e Uil fanno infuriare il premier con richieste irricevibili sulle pensioni – Il Pd sostiene il piano di Draghi, che tira dritto

Draghi boccia i sindacati sulle pensioni: nemmeno il Pd li segue

L’incontro di martedì fra i sindacati e il governo è andato male, al punto che Cgil Cisl e Uil minacciano uno sciopero nazionale. Irritato dalla fermezza dei rappresentanti dei lavoratori, il presidente del consiglio, Mario Draghi, ha lasciato la riunione prima del previsto, ufficialmente per “un impegno istituzionale indifferibile”.

In vista del Consiglio dei ministri di giovedì che darà il via libera alla manovra, non è stato trovato quindi alcun accordo su come gestire le risorse stanziate per pensioni (600 milioni), ammortizzatori sociali (tre miliardi) e taglio del cuneo fiscale (otto miliardi).

In particolare, i sindacati temono che il taglio delle tasse andrà esclusivamente a beneficio delle imprese: su questo punto, infatti, il governo intende lasciare il Parlamento libero di decidere la ripartizione delle risorse da destinare al taglio dell’Irpef e dell’Irap.

Il problema principale rimani comunque quello delle pensioni. La manovra prevede il ritorno di Opzione donna e l’ampliamento dell’Ape social (allargato ad altre nove categorie di lavori gravosi), ma la maggioranza stessa continua a essere divisa su come gestire la politica previdenziale dopo la scadenza di quota 100, prevista per il 31 dicembre.

Lo scontro di fondo, comunque, è chiaro: Draghi intende costruire solo uno scivolo temporaneo per rendere meno ripido lo “scalone”, cioè il salto verso la legge Fornero dura e pura, con tutte le sue rigidità; i sindacati, invece, chiedono una riforma complessiva delle pensioni, che superi quella varata sotto il governo Monti. Una proposta irricevibile per il Presidente del Consiglio.

“I tre miliardi per la riforma degli ammortizzatori sociali sono insufficienti e non c’è una scelta sulla riforma delle pensioni – spiega Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil – Non ci sono risposte a chi ha versato i contributi per 41 anni, a prescindere dall’età anagrafica”.

Per questo “abbiamo chiesto una flessibilità in uscita dal mercato del lavoro a partire dai 62 anni – aggiunge Luigi Sbarra, numero uno della Cisl – L’obiettivo è anche evitare penalizzazioni di generazioni che hanno già sofferto la crisi economica e l’emergenza sanitaria”.

Infine, “c’è il problema del fisco – conclude Maurizio Landini, leader della Cgil – Benissimo lo stanziamento di otto miliardi per ridurre la tassazione nel nostro paese, ma non si può oggi tagliare l’Irap, che non vuol dire solo far pagare meno le imprese, perché si tratta di un’imposta che serve a finanziare la sanità. In questo momento il taglio delle tasse deve andare nella direzione di aumentare i salari e le pensioni, per far ripartire l’economia del nostro paese e perché la pandemia ha causato una pandemia salariale. Siamo il paese con la riduzione della massa salariale più alta d’Europa”.

Cgil, Cisl e Uil fanno sapere che se l’impianto della manovra rimarrà quello attuale, nei prossimi giorni decideranno di comune accordo “le iniziative di mobilitazione più adatte”. I rappresentanti dei lavoratori, però, sono rimasti senza sponde in Parlamento: nemmeno il Pd li segue. E quella che si è consumata martedì è la prima frattura tra il governo Draghi e le forze sociali.

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