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La Cina cambia rotta sul commercio e taglia i dazi sul lusso

Dal 1° luglio Pechino dimezzerà i dazi su moda, abbigliamento, arredo. Da qui verranno le maggiori prospettive di crescita per il settore del lusso. Giù i dazi anche sulle auto. E 234 società – dai colossi bancari al petrolio – sono entrate nell’indice Msci Emerging Markets, aprendo le porte all’ingresso di capitali esteri

La Cina cambia rotta sul commercio e taglia i dazi sul lusso

La Cina cambia rotta sul commercio? Mentre imperversa la guerra dei dazi scatenata da Donald Trump quel che è certo è che le maggiori prospettive di crescita, per il lusso, verranno proprio dalla Cina. Infatti «dal 1° luglio i dazi imposti sull’importazione dall’Europa di prodotti come abbigliamento, accessori, complementi d’arredo, verranno dimezzati. Al momento, a seconda della categoria esatta, i dazi sono tra il 15,7% e il 19 per cento. Ridurli della metà significa avvicinarli molto a quelli che Bruxelles impone alla Cina. Quelli sulle auto scenderanno dal 25 al 15%». L’affermazione è di Armando Branchini, vice presidente di Altagamma che ha presentato a Milano le previsioni di Bain&Company sul lusso, aggiornandole rispetto all’ultimo monitor dello scorso ottobre. Si va dunque nella direzione di un “orderly trade”, una normalità di relazioni commerciali?

Per Bain & Company gli acquisti di beni personali di lusso in Cina quest’anno saliranno del 20-22% (a tassi costanti), anche se, ha precisato Claudia D’Arpizio, partner della società di consulenza “il rialzo effettivo sarà dell’8-9%, mentre il resto sarà da imputare più che altro a un rimpatrio degli acquisti fatti all’estero”. Nel 2017 gli acquisti dei cinesi effettuati in tutto il mondo rappresentavano il 32% del mercato totale dei beni personali di lusso. D’altra parte lo shopping effettuato in Cina l’anno scorso pesava solamente per l’8%. Tuttavia l’Europa rischia di essere l’area che potrà beneficiare di meno del nuovo trend commerciale a causa dell’euro forte: nelle stime di Bain la crescita sarà compresa tra il 2 e il 4%.

L’apertura della Cina, fortemente voluta dal presidente Xi Jinping per sostenere i piani di crescita 2016-2020, si misura anche su un altro fronte, quello dell’ingresso di capitali esteri. Dal 31 maggio infatti l’indice di riferimento per i mercati emergenti (Msci Emerging Markets) inserirà nel paniere 234 azioni cinesi fino ad ora rimaste fuori dalla portata degli investitori stranieri. Tra le più importanti, ci sono la Commercial Bank of China, la China Construction Bank, le prime due banche cinesi, e il colosso petrolifero PetroChina.

L’indice MSCI Emerging Market, lanciato nel 1988 da quella che inizialmente era la Morgan Stanley Capital International (da cui l’acronimo Msci) e ora è la Msci Inc., include i titoli di aziende a larga e media capitalizzazione di 24 Paesi dei mercati emergenti ed è il punto di riferimento per circa 2.000 miliardi di dollari di masse gestite a livello globale.

Con l’ingresso delle 234 società nell’indice di riferimento per i mercati emergenti Pechino intende puntare all’apertura del mercato interno agli investitori esteri. Un vero cambio di rotta rispetto al passato: il mercato domestico cinese finora è stato soprattutto privilegio degli investitori locali o qualificati; ora non più.

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