Le differenze in realtà sono davvero tante: per estrarre un "carato" di diamante, prodotto dai movimenti del pianeta terra in milioni di anni, è necessario asportare 3 tonnellate di roccia, utilizzare 9 litri di carburante e 2.534,78 di litri di acqua.
Per produrre la stessa quantità di diamante sintetico ci vuole una settimana in laboratorio. Servono però apparecchiature sofisticatissime e in Italia l'unica a possederle è l'ENEA di Frascati; gli ingredienti, idrogeno e metano, vengono "cotti" e fatti reagire tra loro in una specie di forno a microonde. Dopo sette giorni, il diamante è servito.
I grandi produttori di diamanti sintetici sono gli Stati Uniti, l'India e alcuni Paesi europei. Un diamante sintetico costa dal 50% al 90% in meno rispetto ad un diamante naturale e la produzione in laboratorio eviterebbe lo scatenarsi di conflitti e lo sfruttamento criminale di territori e di manodopera minorile nei Paesi produttori di diamanti naturali, soprattutto in Africa.
Però le cose sono più complesse. L'associazione umanitaria Global Witness spiega: «L’estrazione di diamanti fornisce importanti entrate fiscali e mezzi di sostentamento per i paesi produttori. Sarebbe preoccupante se, dopo aver approfittato di questi minatori per decenni, si decidesse semplicemente di abbandonarli». E Amnesty International afferma: «I sintetici non sono prodotti in Congo, e in questo modo si finisce con impoverire ancora di più le popolazioni che di questo vivono».
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