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Riflettori puntati sulla “nostra” mafia: la Bestia

Presentato in anteprima nazionale il libro “Ti mangio il cuore”

Il 90% delle vittime di questa mafia ha il volto sfigurato. Un dato, tra i tanti. Quanto basta, forse, per definire un fenomeno che di astratto ha ben poco: sui volti, nelle parole, nell’assenza di odio di Arcangela e Marianna Luciani, la sintesi di questa traduzione dalla freddezza dei numeri al calore del sangue. Ieri, mercoledì 29 maggio, in occasione della “prima” nazionale del libro “Ti mangio il cuore” (Feltrinelli, 2019), le due vedove dei fratelli Luigi e Aurelio Luciani, assassinati dalla mafia nell’agosto del 2017 a San Marco in Lamis, hanno aperto l’incontro che ha avuto luogo all’auditorium Santa Chiara di Foggia, organizzato da Ubik in collaborazione con Apulia Felix. “Non provo odio per gli assassini – ha detto Arcangela Luciani – non provo niente per loro, perché anche l’odio è un sentimento”. Con loro, Carlo Bonini e Giuliani Foschini, gli autori del libro che ricostruisce mattanze, intrecci e storie di sangue della cosiddetta Quarta Mafia, quella che unisce il Gargano e la Società foggiana. Quella che non parla, uccide e basta.

“NON VOGLIAMO ESSERE SAVIANO, VOGLIAMO RACCONTARE I FATTI”. “Noi non vogliamo essere Saviano – ha esordito Giuliano Foschini, giornalista barese di Repubblica proprio come il collega Bonini, quest’ultimo autore anche del best-seller “Suburra” oltre che della prima inchiesta sul caso Cucchi – noi vogliamo essere giornalisti, i cronisti di questa mafia: riportare i fatti, attenerci ai fatti, perché parlano da soli”. Andare nel cuore della Bestia, insomma, come ha aggiunto il collega romano e coautore del lavoro, sottolineando il soprannome dato nel libro ad un fenomeno che, “neanche troppi anni fa”, fu derubricato dagli stessi giudici come qualcosa di “famigliare”: una sorta di faida tra pastori, ben lungi dalle altre tre mafie italiane. “Eppure – riprendendo Foschini – la Prefettura di Foggia è l’unica che, quando fa i conti annuali dei reati compiuti sul territorio, ha una casella a parte dedicata esclusivamente alle stragi”. L’idea del libro però, al pari di “Gomorra” (non la serie tv, sia ben chiaro), condivide la stessa “mission” del famoso scrittore napoletano: diffondere, denunciare, raccontare ciò che troppo spesso è stato taciuto, almeno dal punto di vista nazionale. “L’idea – ha chiosato Bonini, in merito – è quella di illuminare i luoghi bui del Paese, e questo è un luogo buio”.

“IMPRENDITORI FELICI DI PAGARE”. Importanti, inoltre, anche i contributi dei due magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, entrambi presenti in auditorium, dal procuratore capo, Giuseppe Volpe, al sostituto procuratore Giuseppe Gatti. “Io sono barese – ha raccontato quest’ultimo – ma quando sono entrato in questa sezione, alcuni anni fa, venivo dalla procura di Urbino e, confesso, non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere”. Nelle sue parole, inoltre, emerge la radicalità di un sistema che, per tanti anni, ha trovato una sponda fertile negli imprenditori della zona, “felici” di vedere risolti i propri problemi legati alla sicurezza e di averlo fatto addirittura in modo legale: “In un’intercettazione – ha raccontato Gatti, parlando proprio del racket ad alti livelli – un imprenditore raccontava alla sua segretaria di come i mafiosi si fossero consorziati tra loro per chiedere il pizzo in modo univoco, senza farsi la guerra tra loro, dando anzi all’azienda persino la possibilità di fatturare, scaricando legalmente quanto realmente pagato”.

SI TACE, SI PARLA COL SANGUE. Una forza oscura, un cancro del territorio in grado, come ha sottolineato anche Volpe, di unire tradizione e modernità, stragismo familistico e grandi investimenti finanziari, a cui va aggiunta l’assoluta volontà da parte dei mafiosi catturati di rifiutarsi di collaborare con la giustizia – elemento che rende la “nostra” mafia molto simile alla ‘ndrangheta, la più pericolosa e potente in Italia e oltre. Dai rifiuti gestiti con i camorristi alla droga dei colombiani attraverso l’intercessione degli ‘ndranghetisti, passando per i granai e i campi coltivati del Tavoliere, inquinati del sangue degli schiavi stranieri e italiani con tanto di avvallo sporco dell’imprenditoria agricola, senza dimenticare alberghi e strutture a cementare il bel promontorio garganico e varie connivenze con la politica: un sistema compatto, reticolare, in grado di fare fronte comune nei momenti di difficoltà e, soprattutto, di tacere. Sempre e comunque. Si parla col sangue, da queste parti. Solo col sangue e spesso, come nel caso dei Luciani, con quello di vittime innocenti.

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di Alessandro Galano


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