La voce d’Islanda, possente e vichinga, vuole di nuovo impazzire. Era diventata stridula tra le lacrime nel 2016, quando gridava agli inglesi spazzati via dalla marea blu: "Ora potete lasciare l’Europa, andate dove diavolo volete". Due anni dopo, Gudmundur Benediktsson, 43 anni, scalda l’ugola e sorride riguardando i video su YouTube da milioni di clic: le sue esultanze al microfono della tv islandese sono diventate materia di culto nel mondo. "Ma non dite che sono un commentatore pazzo, vi prego — dice ora — La mia era solo emozione sincera, non programmata: i miei connazionali stavano reagendo così in quel momento, qui siamo fatti tutti della stessa materia". Intanto la maglia della nazionale, indossata prima di fare l’allenatore e il telecronista, ha cambiato padrone in famiglia: suo figlio Albert Gudmundsson, 20enne del Psv, promette bene e andrà in Russia per stupire. Si sta allenando qui al Laugardalsvöllur, stadio di Reykjavik, mentre papà Gud risponde all’ingresso. Accanto, svetta la statua del patriarca del calcio islandese, il bisnonno del figliolo: un primo Albert Gudmundsson negli Anni 40 passò per il Milan in una delle tante tappe di una vita da romanzo. Insomma, tutto sembra legarsi in mille fili nascosti: in fondo questa è l’Islanda, terra di elfi e magie, squadra da tifare a giorni.
Allora, ha sentito che la Gazzetta vi adotta ufficialmente?
"Un onore e una responsabilità, non vi deluderemo. Abbiamo una generazione che ha fatto bene insieme già nelle giovanili. E siamo predisposti alla battaglia: qui è impossibile essere sportivi professionisti, per questo dobbiamo tirare sempre fuori qualcosa di più".
Che differenze vede tra la sua generazione e questa?
"Ora è più facile emergere, fino a 15 anni fa non c’erano strutture indoor, perfino il tempo era più duro. Io sono cresciuto al nord: come potevo migliorare con 2 metri di neve tutto l’inverno? Ora il calcio è attorno a noi, ci sono campi riscaldati ovunque, e i coach sono preparatissimi. Chi insegue con forza i sogni, spesso li realizza, e in questa isola abita da sempre gente con grandi sogni".
Pensa che l’Argentina vi snobbi?
"Se 11 argentini giocano al top contro 11 islandesi vincono sempre: è il gioco del calcio. E in più hanno Messi, il migliore della storia. Se, però, pensano che siamo come Haiti, che hanno appena battuto, sono fuori strada. Giocare subito con loro ci aiuterà a prepararla al meglio, come collettivo: noi siamo pronti a morire uno per l’altro".
E se fosse suo figlio Albert la sorpresa?
"Lo spero, ha talento: il Psv è un bel posto per crescere e lui sta migliorando. Spero che abbia una chance, anzi sono convinto che l’avrà perché ha qualcosa di speciale dentro: d’estate ne sentirete parlare…".
Cosa farà al microfono se segna?
"Non so, non posso studiarlo prima e non riesco a pensarci: non sarò solo un padre, ma lo specchio della mia gente".
Poi Albert ha il calcio nel Dna. Anzi, proprio nel nome.
"Il nonno di sua madre, anche lei giocatrice nella nostra nazionale, è una leggenda: è la nostra Perla Bianca. Ha poi fatto l’ambasciatore in Francia, il ministro delle finanze e dell’industria: incredibile personaggio! Dico sempre a mio figlio di onorare il nome che porta".
Non è un po’ triste, però, un Mondiale senza Italia?
"Certo, stranissimo. Purtroppo avete sottovalutato la Svezia, superorganizzata, è stato un errore grave: la prossima volta non lo farete e sarete al Mondiale, come è normale che sia. Ma nella Serie A serve più equilibrio: senza rivali per la Juve il sistema non va avanti".
Cosa possiamo imparare da voi?
"Ma cosa volete che vi insegni nel calcio un islandese… Una cosa: spirito di gruppo, in campo e fuori. La vita su quest’isola ci ha portato ad avere sempre fiducia nel nostro fratello".