Zlatko Dalic e Luka Modric in conferenza. Epa

Zlatko Dalic e Luka Modric in conferenza. Epa

Ha fatto tredici, la Croazia. È la tredicesima debuttante a una finale Mondiale: le ultime due, la Francia nel 1998 e la Spagna nel 2010, hanno alzato la coppa. Ma visto che i croati di statistiche e precedenti se ne fregano (e hanno ragione, visto il cammino in questo Mondiale) hanno adottato il motto di un protagonista dell’ultima deb sconfitta, la grande incompiuta, l’Olanda del 1974. "Andate in campo e divertitevi" diceva il Cruijff allenatore, non più giocatore, ai suoi, a Wembley nel 1992. "Divertiamoci, godiamocela, giochiamo e sfruttiamo il momento" ripete continuamente il c.t. Dalic: "Se vinceremo, nessuno sarà più orgoglioso di noi. Se perderemo, lo faremo con dignità e ci complimenteremo con la Francia".
GLI OTTAVI — Probabilmente è questo lo spirito giusto per avvicinarsi a un appuntamento tanto enorme, così storico da rischiare di schiacciarti con la sua pressione: "La partita più difficile l’abbiamo già passata, erano gli ottavi. Questa è solo la più grande partita che ci capiterà mai di giocare. Non ci sarà mai un momento migliore nella nostra carriera, comunque vada il match: dobbiamo godercela perché ce la siamo meritata. Specialmente i miei giocatori: sono passati da dieci anni di momenti difficili, hanno giocato in stadi vuoti, perché squalificati, sono arrivati qui col carattere".
ANTICONFORMISTA — Dalic non sa nemmeno bene come è arrivato qui, proiettato sul palcoscenico più importante dopo una carriera in terra "araba". Forse anche per questo è parecchio anticonformista, nel suo approccio al ruolo e alla gara: "Non insistiamo sugli allenamenti, non c’è niente da allenare. So che se qualcuno non è al 100 per cento me o dirà. E se non ce la fa ci sono grandi giocatori in panchina. I miei giocatori sanno che in me hanno un amico. Io rispetto loro, loro rispettano me. Prendo le decisioni, ma solo dopo averli consultati. Sono sincero, non c’è tempo per giochini psicologici, in un torneo così".
SUPER MANDZU — I giocatori probabilmente lo aiutano: pochi comportamenti da star, molti uomini-squadra. In testa, Mandzukic: "Mario è un giocatore top, ma top top. Per lui non fa differenza amichevole o finale, centravanti o ala. Nessun allenatore avrà mai problemi con lui, per ogni squadra sarebbe fondamentale. In più qui si diverte, è di ottimo umore".
MODRIC E IL COACH — Al fianco di Dalic, in conferenza stampa, c’è Luka Modric, il capitano. Difficile sentir parlare male un giocatore del suo tecnico in carica, però non è nemmeno così comune ascoltare lodi sperticate: "La sua influenza? Questa finale la testimonia. Quando è arrivato non eravamo nemmeno sicuri di qualificarci. Ci ha dato fiducia, ci ha detto di credere in noi stessi dal primo match contro l’Ucraina. Quello che ci piace di più di lui è la sua sincerità e il suo approccio con i giocatori. Apprezziamo i suoi valori, non solo come tecnico, ma anche come uomo". Modric poi dribbla i soliti discorsi sul Pallone d’oro, e l’impressione è che davvero in questo momento non potrebbe interessargli di meno, non svela il discorso pre-partita, che fa in quell’abbraccio collettivo ("Non lo preparo, aspetto l’ispirazione, ma comunque non ve lo direi"), dice di seguire sempre la stessa routine, si unisce al tifo di Rakitic per Djokovic, si unisce alle lodi per Mandzukic ("Veder il modo in cui lotta è una motivazione in più per tutti i compagni"). Della guerra vissuta da bambino preferisce non parlare ("Pensiamo al futuro") e sorride di chi lo scartò perché non aveva abbastanza fisico: "Io non ho mai dubitato di me e del fatto che sarei arrivato dove sono ora. Per fortuna non è necessario essere alti e grossi per giocare a calcio". E non è necessario essere un paese enorme per giocare una finale mondiale.