tutti in campo

Floris: "L’Esperia fu il mio trampolino verso le Olimpiadi"

L’ex velocista è cresciuto nel club di Cagliari: "Mennea? Un maestro, unico in ogni gesto"

Tiziano Marino

RETROSPETTIVA PIER FRANCESCOPAVONI ATLETICA
NELLA FOTO PIER FRANCESCO PAVONI -STEFANO TILLI-SANDRO FLORIS E MADONIA EZIO NELL'ANNO 1988 OLIMPIADI DI SEUL
AG ALDO LIVERANI SAS

Sbocciato nella Polisportiva Esperia Cagliari, divenuto grande con le maglie delle Fiamme Azzurre e della Nazionale. Ex velocista, classe 1965, Sandro Floris oggi si occupa di altro. La corsa però è sempre stata la sua più grande passione, il primo grande amore, quello che non si scorda mai.

Quando ha iniziato a correre?

"Nel 1982. Partecipai ai Giochi della Gioventù e venni notato dall’Esperia Cagliari".

Il ricordo di quegli anni?

"Mi divertivo a correre, fu un periodo felice e ricco di soddisfazioni, quattro anni bellissimi che mi fecero da trampolino di lancio".

E la sua più bella soddisfazione con la maglia granata?

"Il successo nei 100 metri ai campionati sardi, sulla pista di Nuoro. Quella che ho sempre considerato la prima “grande” vittoria della carriera".

Che dopo Cagliari proseguì lontano dalla sua Sardegna.

"Mi trasferii a Milano, prima alla Pro Patria poi nell’Esercito".

Il primo Floris coincise con l’ultimo Mennea: chi era per lei?

"Un mito. Una leggenda per me e per tanti altri ragazzi italiani".

Che rapporto aveva con lui?

"Ottimo, ci vedevamo anche al di fuori delle corse. Pietro era unico sia in pista sia nella vita di tutti i giorni. Ogni suo gesto era speciale".

Qual è il miglior consiglio che le ha dato?

"A parole pochi, preferiva far parlare i fatti".

Seul ’88: la sua prima Olimpiade, l’ultima di Mennea. Che esperienza è stata?

"Ricordo ancora tutta la magia che precede l’evento, l’atmosfera del villaggio olimpico, l’aria di festa che si respira. Era l’Olimpiade dello scontro tra Carl Lewis, e Ben Johnson. La squalifica per doping del canadese fu uno shock, una delusione per tutti".

Lei corse la 4x100 con Madonia, Pavoni e Tilli.

"Arrivammo quinti, un ottimo risultato. Tornai con una marcia in più".

Fu l’anticamera di un biennio d’oro (sui 200).

"Quarto ai Mondiali indoor di Budapest ’89, primo agli Europei di Glasgow ’90. Il picco della mia carriera".

In cui figura anche la partecipazione a un’altra Olimpiade, Atlanta ’96, sempre in staffetta, con Puggioni, Madonia e Cipolloni.

"Purtroppo in America andò male. Cadde il testimone in batteria e ci squalificarono. Fu una sconfitta, ma nella vita servono anche quelle. Anzi, sono sempre molto più utili delle vittorie".

Floris e Puggioni ieri, Tortu e Patta oggi, con le stesse origini sarde in comune.

"Sono molto orgoglioso di appartenere a una terra che ha dato e continua a dare tanto alla Nazionale. Siamo una piccola isola ricca di talento, soprattutto con una grande cultura del lavoro".

Cosa fa oggi?

"Mi occupo della preparazione atletica dell’Amatori Rugby Capoterra (Serie B) e, da un anno, anche della Saspo Cagliari, squadra di rugby in carrozzina, uno sport fighissimo. Del rugby mi piace l’unità e l’inclusività. Alti o bassi, magri o grassi, tutti sono utili alla squadra. È una grande lezione".

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