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Firmato dal Ministro Centinaio il decreto che istituisce il marchio “Prodotto di Montagna”


È stato firmato dal Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, il decreto che istituisce il marchio identificativo del regime di qualità Prodotto di montagna.

Il logo (verde, con una montagna stilizzata) può essere utilizzato sui prodotti previsti dal regime di qualità omonimo. L’indicazione facoltativa di qualità Prodotto di montagna è riservata alle materie prime che provengono essenzialmente dalle zone montane e agli alimenti trasformati, nel caso in cui la trasformazione, la stagionatura e la maturazione hanno luogo in montagna.

Il valore dell’agricoltura montana in Italia è pari a 9,1 miliardi di euro di cui 6,7 miliardi Appennini e 2,4 miliardi Alpi (dati della Fondazione Montagne Italia).

Il Marchio (che era stato già condiviso con le confederazioni degli agricoltori dal precedente Ministro Martina) porterà benefici ai produttori dell’Appennino lucano e potrà dare un impulso anche all’indotto: è il commento della Cia-Agricoltori Italiani di Potenza, presieduta da Giannino Lorusso.

“Condividiamo l’obiettivo  -commenta Lorusso- di valorizzare meglio il lavoro dei produttori delle zone montane. Il marchio è una ulteriore possibilità, oltre che incentivo, per evidenziare il lavoro degli agricoltori di montagna che producono qualità della materia prima e dei prodotti trasformati. Si tratta, inoltre, di un sostegno ad una agricoltura svantaggiata e che produce con costi maggiori, spese che possono essere compensate dal valore aggiunto, alla vendita, di un prodotto riconosciuto da una dicitura in etichetta ad hoc. Inoltre -prosegue Lorusso- il valore che genera è utile a mantenere i coltivatori sul territorio che, lo ribadisco, restano un presidio insostituibile delle aree montane e non solo: in una equazione, più reddito e maggior presenza dell’uomo”.

Con il Decreto si concretizza, quindi, uno strumento efficace per gli operatori delle zone montane che potranno accrescere la redditività, facendo leva sulla riconoscibilità dei prodotti, e allo stesso tempo garantire maggiore tutela ai consumatori, che chiedono sempre più trasparenza e informazione.

Per i prodotti di origine animale, l’indicazione facoltativa di qualità “prodotto di montagna” può essere applicata ai prodotti ottenuti da animali allevati nelle zone di montagna e lì trasformati, come, ad esempio il parmigiano reggiano, ma possono beneficiarne anche i prodotti dell’apicoltura, piante e spezie.

Sono sempre di più le aziende di ogni dimensione che decidono di chiudere la filiera al proprio interno e che rivendicano, su tale materia, un quadro di riferimento normativo puntuale, chiaro, agibile. In particolare, nella nostra regione risultano oltre 23.000 le aziende con meno di 2 Ha di SAU, oltre 15.000 gli allevamenti da cortile e suinicoli prevalentemente per autoconsumo e piccole trasformazioni familiari, oltre 5.000 le aziende vitivinicole con superficie sotto le 30 are, 33.000 quelle olivicole, circa 15.000 gli orti familiari, solo per citare i numeri a volte inespressi e che rappresentano un tessuto produttivo nascosto e silenzioso che sorregge molte famiglie della comunità lucana.

“Quello delle piccole produzioni agro-alimentari lucane -commenta Cia Potenza- è un segmento diffuso e importante che caratterizza e rafforza il settore primario anche in Basilicata. Tali aziende producono alimenti di elevata qualità e tipicità con ricadute non solo sulla microeconomia ma su fattori determinanti quali il presidio del territorio (specie montano), la ruralità, il paesaggio agrario, l’agriturismo. I quantitativi per la vendita, che avviene prevalentemente in ambito locale e di prossimità, sono di modesta entità. Queste aziende svolgono una strategica funzione di mantenimento della biodiversità, di presidio e difesa del territorio, di preservazione delle risorse naturali, di tutela del paesaggio agrario e della enogastronomica e ed in generali della cultura e delle tradizioni locali. Tale realtà rischia, però, di contrarsi fortemente in ragione della rigidità e della complessità delle vigenti normative che regolano e disciplinano i processi di produzione, la commercializzazione di prodotti primari e/o trasformati anche di quantità modesta”.

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