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Silvio, guerriero all'ultima battaglia

Silvio, guerriero  all'ultima battaglia

di Vittorio Testa

09 Maggio 2019, 13:03

Crudele il tempo, impietosa la malattia, il Silvio Berlusconi che si riarma e torna in campo è un guerriero che reca i segni e le cicatrici di una vita trascorsa in mille battaglie. Il Cavaliere, a volte vincente a volte disarcionato, sempre protagonista di tale impatto da contrassegnare un’intera epoca come categoria del costume e della politica, il “berlusconismo”, ora cammina controvento in quella che l’età e gli acciacchi indicano come ultima sfida. Inascoltati i famigliari e gli amici più fidati, timorosi dell’esito incerto non solo politico ma soprattutto fisico di un azzardo compiuto a 82 anni, in Berlusconi ha prevalso il lato più forte del suo carattere, l’esserci da capitano coraggioso ma in special modo da solista imperioso, narciso scoppiante di autostima.
Fascinoso Arcitaliano molto amato e altrettanto detestato; miliardario seducente e seducibile; due matrimoni e cinque figli; schiere di giovani donne da ammaliare con un vitalismo prorompente devoto al Femminino; quattro volte presidente del Consiglio, in alternanza di altari e polvere, votato duecento milioni di volte; e inquisito, indagato e processato come nessun altro italiano: accusato di corruzione, falso in bilancio, induzione alla prostituzione, rapporti carnali con ragazze minorenni, iscritto in indagini ipotizzanti rapporti e accordi con la mafia. Una vita da nababbo generoso, prodigo come soltanto chi è stato povero sa essere; pifferaio magico per moltitudini adoranti; presidente del Milan dei record di vittorie. La prima coppa dei campioni vinta da Sacchi contro la Steaua di Bucarest a Barcellona… «Vinta? Mi consenta: l’ho vinta io» spiegava al cronista: «Un’ora prima della partita sono sceso nella cappella del Nou Camp e ho pregato il Dio degli eserciti: “Signore aiuta chi crede in te e nella libertà a sconfiggere un simbolo degli atei comunisti che perseguitano i cristiani”».
All’esordio in politica («L’Italia è il Paese che amo») nel gennaio 1994 compie il  suo vero capolavoro fondando Forza Italia e alleandosi con la Lega di Bossi al Nord, con i centristi di Casini e con l’Alleanza nazionale ex Msi di Gianfranco Fini al Sud. E’ l’Italia di Tangentopoli e di Mani Pulite: la Dc, il Psi, il Pri e il Pli distrutti dalle inchieste del pool Di Pietro, Davigo, D’Ambrosio, Colombo, Greco, Spataro e Bocassini con regista Saverio Borrelli. Il Cavaliere capisce di poter raccogliere i tanti naufraghi orfani del pentapartito. Ma i sondaggi dicono che non ci sarà storia: vincerà la sinistra, il campo avverso non esiste più, pochissimi sarebbero pronti a votare per Berlusconi. Lui dimostra d’aver già fiuto politico fino: «Vi sorprenderete, perché questo è il tempo dei nuovi nicodemisti» dice agli stupefatti giornalisti che digiuni di Vangeli brancicano nel buio. Nicodemisti? «Sì, sono quelli, e sono  tanti, che si comportano come Nicodemo, il capo fariseo che di nascosto aiutava Gesù. Per adesso si vergognano a dire che mi voteranno. Ma nel segreto dell’urna Silvio ti vede, Occhetto no. Vedrete che sorpresa». Primo successo: sconfitta la “gioiosa macchina da guerra” capeggiata da Achille Occhetto. Forza Italia primo partito. Palazzo Chigi conquistato contro ogni previsione. Ma poco dopo ecco la prima coltellata: il Senatur Umberto gli toglie la fiducia, cade il governo. «Colpa del presidente della Repubblica, Scalfaro» tuona sdegnato: «Ha convinto Bossi che su di me pioverà l’accusa di complice della mafia». Da qui in poi sarà la stagione di Berlusconi per altri venticinque anni: vincente e soccombente, sconfitto da Prodi e puntualmente risorto, sempre in battaglia, combattente inesausto. Ma intorno a sé il Cavaliere che non sopporta l’Ego altrui non costruisce una classe dirigente che possa esprimere un successore. «I delfini?», scherza, «non ne vedo. Solo qualche trota...» (come sarà ribattezzato il figlio di Bossi).
Rompe con Pierferdinando Casini. Caccia Gianfranco Fini. E intanto la Lega cambia pelle, Bossi via via esce di scena, Maroni governa la Lombardia e si defila, il nuovo astro lumbard è Matteo Salvini: personalità forte, bulimico di potere, decisionista senza appello: mal sopporta che la Lega abbia un ruolo ancillare per Forza Italia. Minaccia: «E’ finito il tempo della Lega che andava ad Arcore con il cappello in mano». E udite udite si mette in testa di diventare leader del centrodestra: è una ribellione di valenza anche generazionale. Berlusconi sì, ma la sfida è lanciata. Il Cavaliere dapprima abbozza («Salvini ha legittime ambizioni. Lo stimo») osserva quotidianamente le mosse dell’alleato che si rivela presto indomito. E, incredibile ad Arcore, decide di candidarsi a premier. «Al massimo può fare il ministro» ironizza il Cavaliere: «Alla fine la leadership toccherà a chi avrà più voti. Cioè a Forza Italia».
E’ un Berlusconi spiazzato e periodicamente afflitto da problemi fisici, quello che comunque è il primo a cogliere la grande novità nel campo politico. La predicazione “vaffatuttoetutti” di Grillo sfocerà in un movimento destinato a portare il suo empito antiparlamentare proprio in Parlamento. E appare un leader giovane e querulo, elegantemente incravattato, il cui credo comincia con «sia sconfitto per sempre Berlusconi». Il quale da vecchio combattente annusa la tempesta in arrivo: «C’è un pericolo enorme che incombe su di noi» dice alle viste della campagna elettorale dell’anno scorso: «Quello che possa nascere l’Italia di Di Maio  e di Salvini. Sarebbe  una rovina». E’ quel che accade. Berlusconi la prende male, anzi malissimo. Tenta il tentabile ma ormai è fuorigioco: i Dioscuri fino a ieri acerrimi nemici si pappano il potere. «Berlusconi?» infierisce vendicativo Matteo Salvini: «E’ un buon alleato in contesti locali. A livello nazionale non conta più niente». Salvini che ha battuto Berlusconi vola nei sondaggi. Il Cavaliere accetta la sfida per dignità di leader e orgoglio smisurato. Ma l’uomo che ieri esce da uno dei frequenti ricoveri in ospedale ha il sorriso amaro, la faccia segnata dal tempo e dagli affanni. E il suo eloquio faticosamente combattivo è ormai quello di un Napoleone giunto in vista di Sant’Elena.
vittorio.testa@comesermail.it
 
 

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