×
×
☰ MENU

Editoriale

Il martirio senza fine dei cristiani

vaticano

di Pino Agnetti

25 Gennaio 2022, 13:29

C’è qualcosa che non torna in questo mondo globalizzato. Da noi - intendo dire in Occidente e segnatamente in Europa - non si fa che parlare di accoglienza e di integrazione. Di diritti umani e di libertà religiosa. Più che un dibattito, è divenuta una ossessione vera e propria. Vedi la recente pensata di abolire gli auguri di Natale in quanto potenzialmente offensivi verso chi, ad esempio, è musulmano o indù. Ma se in qualche altra parte del Pianeta a essere discriminati (o peggio) sono i fedeli della “nostra” religione (i professorini della laicità non si scandalizzino perché qui mi riferisco innanzitutto alle nostre radici culturali, quelle che spinsero il laico Benedetto Croce a scrivere nel 1942 il suo celebre saggio «Perché non possiamo non dirci cristiani»), allora il coro lamentevole si zittisce all’istante.

E i difensori senza macchia e senza paura della causa degli oppressi evaporano altrettanto velocemente. Che lo facciano per cattiva coscienza, o per il timore di non essere più invitati ai talk-show che vanno per la maggiore, poco importa. Importa invece sapere che oggi nel mondo ci sono più di 360 milioni di cristiani perseguitati (in pratica uno su sette). Uomini, donne, anziani e bambini costretti a vivere sotto la perenne minaccia di venire scacciati dalla propria terra, di perdere la propria casa e il proprio lavoro, oppure di essere eliminati anche fisicamente. E sempre e solo in quanto cristiani, appunto. È lo sconvolgente scenario che emerge dal rapporto “Open Doors” 2021 presentato nei giorni scorsi alla Camera. Il film agghiacciante di un martirio senza fine giunto al livello più alto degli ultimi trent’anni. Nel 2021, i cristiani ammazzati a causa della propria fede sono stati 5.898 rispetto ai 4.761 del 2020. Il che significa una media di 16 uccisioni al giorno. Migliaia le chiese (più di 5.000) e le strutture annesse (scuole, oratori, ambulatori) attaccate o chiuse. E l’allucinante contabilità prosegue con uno stillicidio infinito di rapimenti, arresti illegali e processi farsa. Fino agli stupri, utilizzati anch’essi su larga scala come arma per vincere le resistenze di chi si rifiuta di sloggiare, oppure di abiurare e convertirsi.

Ho usato la parola «martirio» e non «guerra» perché le guerre bisogna essere almeno in due a farle. Mentre in questo caso i belligeranti non innalzano mai la croce, né intonano i versi del Vangelo. In cima alla “black list” degli Stati in cui le persecuzioni anti cristiane sono più gravi e sistemiche c’è l’Afghanistan (una “maglia nera” quasi scontata dopo l’ignominiosa fuga occidentale da Kabul), seguito da Corea del Nord, Somalia, Libia, Yemen, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Iran, India e Arabia Saudita. Come si vede, fra i primi cinque Paesi della graduatoria quattro sono islamici. E, fra i 100 monitorati complessivamente, quelli con un livello di violenza anti cristiana valutato molto alto o alto arrivano a ben 76. Con punte estreme in Nigeria (dove si registra il record assoluto dei massacri) e, per quanto riguarda i cristiani incarcerati, nel regno-prigione del “leader supremo” nord coreano Kim Jong-un che, oltre a sparare missili balistici a ripetizione, non ha perso il vizio ereditato dal padre di fare imprigionare nei famigerati kwan-li-so (campi di lavoro e di rieducazione) i suoi sventurati sudditi colpevoli solo di essere stati trovati con una Bibbia in casa. In questo atlante dei diritti violati, un posto particolare spetta alla Cina che, approfittando della lotta alla pandemia da Covid-19, ha stretto ulteriormente le maglie della già ossessiva rete di sorveglianza anche tecnologica stesa sulle attività religiose. Un discorso analogo vale per l’India dove, per ingraziarsi il nazionalismo indù responsabile di centinaia di attacchi violenti alle chiese cristiane, il governo ha appena bloccato i finanziamenti dall’estero alle Missionarie della Carità fondate da Madre Teresa di Calcutta.

Eppure, sul fatto documentato anche da altre fonti che oggi sia il cristianesimo la religione più perseguitata al mondo, i governi e le opinioni pubbliche occidentali sembrano avere ben poco da dire. Se non nulla. Quasi che nelle nostre iper progressiste e tolleranti società, ormai, “dirsi cristiani” (e non magari musulmani, buddisti o seguaci di qualche setta esoterica) sia diventato qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Chi invece ha dimostrato di non vergognarsene è quel giovane cristiano della città di Aleppo in Siria che, durante la presentazione del rapporto alla Camera, ha spiegato così la scelta sua e della propria famiglia di non fuggire: «È il mio Paese, il Paese dei miei antenati cristiani, il luogo in cui san Paolo ha incontrato Cristo, dove i cristiani hanno sempre operato per il bene di tutti. Io voglio fare lo stesso. Ed è per questo che io oggi mi trovo qui davanti a voi». Dove quel “voi”, in realtà, siamo tutti noi. Incapaci di comprendere che un mondo in cui, sovvertendo il detto crociano, non sia più possibile dirsi o sentirsi cristiani è un mondo senza pace e dominato dalla violenza. E, ciò che forse è ancora peggio, privo di speranza.
 

© Riproduzione riservata

Commenta la notizia

Comment

Condividi le tue opinioni su Gazzetta di Parma

Caratteri rimanenti: 1000

commenti 0

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI