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Omicidio di Alessia, nessun accordo per l'estradizione: Jella processato in Tunisia

Omicidio di Alessia, nessun accordo per l'estradizione: Jella processato in Tunisia

26 Giugno 2017, 12:58

Georgia Azzali

E' in un carcere tunisino da metà maggio, Mohamed Jella. L'avevano arrestato dopo diciotto mesi di ricerche incessanti, appelli e vane attese. Per ore, quella mattina del 6 dicembre 2015, aveva martoriato con calci e pugni la sua compagna, Alessia Della Pia, e alla fine le era salito sopra schiacciandola. Un omicidio, aggravato dalla crudeltà, che porta dritto all'ergastolo. Ma sarà la Tunisia a processare Jella. Non pare ci possa essere una strada diversa: la magistratura parmigiana, attraverso la procura generale e il ministero, ha chiesto che il Paese africano proceda. Nessuna «rinuncia» da parte dell'autorità giudiziaria parmigiana, ma la presa d'atto di ciò che prevede la Convenzione tra Italia e Tunisia. Un accordo firmato cinquant'anni fa - e tuttora vigente - che fissa un paletto fondamentale: i due Paesi non concedono l'estradizione, ma si impegnano «a far perseguire i propri cittadini che avranno commesso nel territorio dell'altro Stato infrazioni punite come crimine o delitto nei due Stati». In altri termini, Jella dovrà comparire in un'aula di tribunale tunisino, una volta che la magistratura maghrebina avrà a disposizione tutti gli atti d'indagine inviati dall'autorità giudiziaria parmigiana.

Una Convenzione vecchia di mezzo secolo, ma contro la quale anche la volontà politica e la diplomazia sembrano poter avere poche possibilità di manovra. «Effettivamente quell'accordo non prevede margini. Ciò che però si potrebbe valutare - sottolinea Stefano Melcarne, difensore della famiglia di Alessia - è la possibilità di processare Jella anche qui, oltre che in Tunisia. E' solo un'ipotesi, perché va considerato il principio del "ne bis in idem", ossia il principio che vieta di essere giudicati due volte per lo stesso fatto. Nel caso specifico, però, bisogna verificare, trattandosi di due Stati diversi, uno dei quali extracomunitario».

Questioni di diritto. Più difficili da accettare che da capire per i familiari di Alessia. Hanno atteso per mesi che quell'uomo inseguito da un mandato di cattura finisse in cella. E ora vorrebbero vederlo in un'aula di giustizia italiana. Ma - salvo colpi di scena - dovranno viverlo a distanza quel processo, ammesso che non decidano di andare in Tunisia. Inoltre, il timore - assolutamente comprensibile - è che il procedimento possa concludersi con una pena che non faccia giustizia.

Le indagini, coordinate dal pm Andrea Bianchi, sono state chiuse nei mesi scorsi. Ma per il momento la richiesta di rinvio a giudizio resta in stand by. La Convenzione tra Italia e Tunisia non prevede l'estradizione, quindi un eventuale processo a Parma si bloccherebbe immediatamente, perché l'imputato ha diritto ad essere presente.

Da una parte il processo, per scrivere la storia e il perché dell'omicidio di Alessia. E, dall'altra, la possibilità di ottenere un risarcimento dallo Stato, come previsto dalla Corte di giustizia europea per le vittime di reati violenti. «Anche questa è una strada che stiamo valutando - sottolinea l'avvocato Melcarne - considerando anche che contro l'Italia era già stata avviata una procedura d'infrazione perché aveva omesso di adottare tutte le misure per garantire un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti».

Alessia, 39 anni, era stata aggredita e picchiata in ogni angolo di quel piccolo appartamento, al primo piano di via dei Bersaglieri 7. Braccata come un animale in gabbia.

Un piccolo pusher, Jella. Ma allo stesso tempo anche un assuntore, almeno secondo quanto dichiarato da alcuni testimoni. Amici dello stesso giro, che l'avrebbero anche descritto come sempre più aggressivo negli ultimi tempi: alcol, fumo ma soprattutto pasticche. E proprio questo mix avrebbe potuto innescare quella violenza inaudita dopo lo scoppio di una banale discussione.

Lui e Alessia litigavano spesso. E' probabile che lei fosse esasperata da un rapporto sempre più sfilacciato. Ma non ha fatto in tempo a dire basta.

© Riproduzione riservata

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