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Terenziani, dall'Old England alla campagna di Vigatto

Terenziani, dall'Old England alla campagna di Vigatto

21 Aprile 2017, 12:36

Andrea Del Bue

A chi ha dei dubbi su cosa significhi stile british, si consigliano due chiacchiere con Duilio Terenziani: un insieme di eleganza, buongusto e senso della misura che ti fa sentire a tuo agio e ti provoca un senso di ammirazione. Un’attitudine a tutto tondo: i gesti, le parole, l’approccio, ma anche il vestire. Lui, infatti, è stato per oltre trent’anni, insieme a Sergio Jemmi, il titolare dell’Old England, punto di riferimento per tutti i parmigiani che volevano vestire bene.

Nel 1998, quando il negozio di strada Repubblica, al civico 6, due passi da piazza Garibaldi, ha abbassato le saracinesche senza trovare eredi, sono stati in molti a sentirsi orfani di quel rifugio di classe e cortesia.

Rilevata nel ‘64 l’attività di Brandonisio, l’Old England puntava tutto sulle grandi marche inglesi – tra le tante: Ballantyne, Aquascutum, Alan Paine, Simon Ackerman, Pringle of Scotland - affiancando le firme italiane più prestigiose, come Cerruti e Zegna. Si usciva di lì con un maglione di cachemire, un loden, una cravatta impeccabile, oppure con l’intramontabile impermeabile Aquascutum, che tantissimi uomini indossavano in quegli anni.

«Chiunque volesse vestire classico, veniva all’Old England – racconta Terenziani -: potevi guardare, toccare, provare, senza che nessuno ti sollecitasse ad acquistare. Altri tempi rispetto alle pressioni commerciali di oggi».

Quella classe nei tagli dei vestiti era la stessa classe di Terenziani: «Capitava che un cliente si provasse un abito: si guardava allo specchio e faceva un gesto di approvazione, dirigendosi alla cassa. Ma se io notavo che non gli stava bene, lo fermavo e lui non lo comprava. La gente si fidava. La mia più grande soddisfazione erano le telefonate con le quali i clienti si complimentavano con me per i consigli e per la qualità dei vestiti».

Entrare nello scrigno dei ricordi non è facile: Terenziani, oggi, sfoglia più volentieri l’album fotografico dei suoi successi agresti, tra l’orto e la serra, rispetto a quelli lavorativi. Classe 1937, oggi si dedica a tempo pieno alla terra, nell’aperta campagna di Vigatto, dove vive insieme alla moglie Bice, vicino ai figli Roberta e Roberto.

Tra alberi da frutto in fiore, rapanelli, cipollotti, radicchi e semina di zucca e zucchine, sembra quasi che abbia scelto un rifugio da tempi che non lo rappresentano più. «Il tempo del buongusto è finito - dice -. E pensare che il buongusto non è altro che sinonimo di normalità».

Quella normalità che Terenziani ha ritrovato qui, in mezzo ai campi coltivati e alle sue galline. «Oggi, se un personaggio famoso si mette un vestito alla rovescia, tutti lo imitano e diventa una moda - osserva -. Niente a che vedere con la classe, di cui i parmigiani sono esperti. Da me venivano tantissimi personaggi noti che, prima di tutto, erano veri signori: per dirne solo alcuni, Pietro Barilla era un mio affezionato cliente, così come la famiglia Molossi, con Baldassare su tutti».

Non mancano gli aneddoti sui tanti anni in cui è stato consigliere di fiducia in termini di stile: «Il giornalista Giampaolo Pansa veniva in negozio ogni volta che passava da Parma: ero io a scegliergli le cravatte - dice con orgoglio -. Un giorno vedo entrare Andrea Borri (allora deputato, ndr) accompagnato da diverse persone; era con il presidente del Consiglio Giovanni Goria e la sua scorta: aveva bisogno di una camicia. Anche Ciriaco De Mita è stato mio cliente».

Old England era una garanzia, tanto che dire di vestirsi lì era un motivo di vanto: «C’era chi diceva di essere cliente del negozio, anche se prendeva solo le calze a Natale - sorride Terenziani -; oppure chi regalava una cravatta e mi chiedeva solo la busta, per far credere che l’avesse acquistata all’Old England».

La più grande soddisfazione, oggi, oltre a una raccolta di zucche giganti, «è sicuramente incontrare le persone con dei capi acquistati da noi - conclude -: vestiti unici, certamente costosi, ma resistenti al tempo e all’uso. E di una classe che non c’è più».

© Riproduzione riservata

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