Cultura

«Mio padre Scerbanenco, il giallista della realtà schizofrenica»

Dalla figlia Cecilia una biografia dell’antesignano del noir italiano
Cecilia Scerbanenco bambina con il padre Giorgio, la madre, la sorella e un’altra signora - © www.giornaledibrescia.it
Cecilia Scerbanenco bambina con il padre Giorgio, la madre, la sorella e un’altra signora - © www.giornaledibrescia.it
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«Mio padre, Volodymyr Valerianovic Šcerbanenko, il futuro Giorgio Scerbanenco, aveva una sensibilità quasi schizofrenica per la realtà e verso gli esseri umani, combinata con una capacità straordinaria come scrittore e giornalista».

Così Cecilia Scerbanenco sintetizza la personalità dell’inventore del giallo italiano (nato a Kiev il 28 luglio 1911, da padre ucraino e madre italiana, e morto a Milano il 27 ottobre 1969) e ne ricostruisce «La vita» in una splendida biografia: «Il fabbricante di storie» (La Nave di Teseo, 288 pagine, 23 euro). Basandosi su lettere, articoli, opere, materiali editi e inediti, una figlia rigorosa fa emergere l’uomo e l’intellettuale, in modo vivido, da una imponente massa documentale.

Racconta Cecilia: «Dopo il rientro da Kiev e una permanenza a Roma (il padre era stato ucciso durante la rivoluzione bolscevica), mio padre, orgoglioso delle sue origini, arrivò a Milano a 17 anni con la madre, ospite di uno zio. Fece diversi lavori (tornitore, magazziniere, rappresentante di profumi, meccanico di macchine per cucire, giardiniere), ma incominciò anche a leggere e a studiare entrando in contatto con gli intellettuali della Milano molto vivace di quegli anni. Era legato al fascismo, ma all’ala dannunziana del rinnovamento culturale e letterario, e fu fortunato a conoscere in biblioteca personaggi come Salvator Gotta o Milli Dandolo e a lavorare, poi, con Zavattini e tanti altri intellettuali».

Dopo una sessantina di romanzi, centinaia di racconti, radiodrammi, lo scrittore rosa diventa un giallista nei quattro libri con protagonista Duca Lamberti, ex medico, radiato dall’albo, che si trasforma in detective. Un caso?
In realtà, anche i libri cosiddetti «rosa», soprattutto quelli degli anni Quaranta, hanno tutti un’impronta noir, perché raccontano la realtà di quel periodo. Era uno scrittore realista, e per molti dei suoi libri si può parlare anche di romanzo sociale; ma soprattutto di romanzo psicologico, un interesse che rasenta la psichiatria e la medicina.

Dell’opera d’un «narratore autentico e instancabile, della razza d’un Georges Simenon» come lo definì Oreste del Buono, cosa l’ha convinta di più?
La professionalità: era bravissimo nella conduzione delle riviste, che curava in tutti i dettagli. E poi la grande apertura mentale. Aveva la capacità di adattarsi alle diverse vicende storiche con passione e sensibilità, per quello che ogni epoca poteva dargli. Con questa biografia credo di aver tracciato finalmente la vita di mio padre al di fuori del mito, dei pettegolezzi e delle leggende.

A quali si riferisce in particolare?
Il mito principale è quello che, prima di scrivere romanzi gialli, mio padre fosse stato un signor Nessuno. Invece, già dagli anni Trenta era giornalista e prima della fuga in Svizzera - vi arrivò nel 1943, dopo un viaggio a piedi per le montagne - era stato direttore di testate del gruppo Rizzoli, aveva scritto decine di romanzi e centinaia di racconti: vent’anni di lavoro che biografi poco interessati hanno cancellato come se non fossero importanti.

Si parla di suo padre come un gran donnaiolo: com’è stata veramente la sua vita sentimentale?
Con le donne era travolgente e affascinante, e per questo ha avuto ben quattro famiglie. La prima quando nel 1931, a soli vent’anni, sposò Teresa Bandini dalla quale si separò di fatto nel 1939; poi ebbe una seconda compagna, Maria Teresa, per una decina d’anni; un’altra ancora, Mara, per altri dieci; e poi mia madre, Nunzia Monanni, fino alla morte. Corrono voci di altre storie e alcune sono vere: lui stesso parla del suo idillio con la «californiana», descritto in un racconto. Quattro i figli: due dal matrimonio con la Bandini, Alberto e una bambina morta a soli sei mesi; trent’anni dopo, siamo arrivate io e mia sorella Germana.

Chi ha raccolto oggi l’eredità di suo padre?
Molti giovani - a partire da Carlo Lucarelli, che gli ha dato lo status di «padre dei giallisti italiani» - sono riusciti a cogliere il segreto della sua scrittura: il rapporto con la realtà. Le sue storie, prima di essere gialle, sono storie milanesi, italiane, che potrebbero capitare a chiunque. E per questo si distaccano da altre forme di noir, più fantasiose o legate a modelli stranieri.

 

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