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31 Maggio 2018 - 21:22
La pubblicità Olivetti inizia nel 1912 con l’immagine, forse ispirata dallo stesso ing. Camillo, di un austero Dante Alighieri che vestito in rosso, su uno sfondo verde e bianco indica la M1, ne consiglia perentorio l’acquisto e pare voler dire che con quello strumento gli sarebbe stato più facile scrivere la “Commedia”.
Dieci anni dopo è la graziosa immagine di una giovane donna su sfondo rosso, ad invitare all’acquisto; forse è una segretaria, che ammira riconoscente e compiaciuta la M20, la macchina che con la “dolce tastiera” le ha reso più agevole il quotidiano lavoro.
Due figure che in comune hanno la prevalenza del colore rosso e la scritta Olivetti; nessun altro messaggio: bastano le immagini delle due macchine.
Nel 1930, tra le ultime pubblicità della M20, troviamo invece un vivace bambino, vagamente simile ai terribili gemellini Bibì e Bibò del Corrierino dei Piccoli, che tenta - invano - di romperne una sotto lo sguardo sereno del padre che dice “…quella, caro non la rompi. E’ una Olivetti…”.
La serie termina nel 1931 con l’avviso promozionale che ricorda che una macchina per scrivere Olivetti M20 sopravviverà ai vari fonografi, radio, telefoni ed automobili che si stanno diffondendo; “…fra vent’anni la vostra Olivetti scriverà ancora come oggi…”, dice il messaggio, mentre tutti gli altri oggetti non saranno che rottami.
Ecco allora che un giusto orgoglio per l’ottimo prodotto italiano si carica di toni di preoccupante nazionalismo, sia nella grafica con le figure della “Vittoria”, dei “Grandi italiani del passato”, dei “Combattenti”, del “Tricolore”, … , sia nel messaggio: “Se Voi fabbricate o vendete merci italiane ricordatevi di essere i primi a preferire i prodotti dell’Industria Nazionale…”, “ Italiano tu che hai combattuto…”, “Gli italiani devono essere orgogliosi…”, con una deriva che porta all’immagine o stile della mano minacciosa che ferma “…le importazioni inutili!”, a quella del cavaliere Crociato che difende gli italici confini dall’invasione delle macchine straniere e alla “dolcissima tastiera” che diventa un disciplinato e temibile reparto militare.
Tutto questo si ritrova in cinquanta riproduzioni di poster e di pubblicità del secolo scorso, dal 1912 al 1931 raccontate da Carlo Torchio, competente ed esperto collezionista, pubblicate nel Bollettino “L’ufficio d’epoca” n. 53 dell’Associazione Italiana Collezionisti Macchine per Ufficio.
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