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SETTIMO TORINESE. Le scarpe di D’Alema

SETTIMO TORINESE. Le scarpe di D’Alema

Presto in città. Ecco il trailer. Eppure il Massimo nazionale (no, non quello della canzone napoletana, ma quello della politica romana) sarà la prossima settimana con noi. Sembra di sentire il refrain (Massimo D’Alema con noiiiii!!!) di una trasmissione radiofonica di successo, peccato che – di solito – sia il nome del suo rottamatore (in via di rottamazione) quello su cui, da un po’, s’ironizza, segno che Renzi è più impopolare (strano a dirsi) di D’Alema.

Beh, com’è come non è, piuttosto che rosicare (ancora) sul prezzo delle scarpe del baffino nazionale («costano 120 euro al paio e non 1.000, fine della precisazione», disse in un’intervista del 2006, ma sono tanti soldi anche adesso), intendo parlare di gente che quello che fa lo fa con la testa, col cuore e lo fa bene.

Il 31 dicembre, al Colle della Scala, tra la Val di Susa in Piemonte e la Val de la Clarée nelle Hautes-Alpes, si sono dati appuntamento guide di alta montagna, maestri di sci, soccorritori, allevatori, pastori, custodi di rifugi alpini, guardie forestali e di parchi, gente della montagna insomma, per un «réveillon insolite». Si sono trovati in una vigilia di solidarietà verso i migranti a un’altezza di 1.762 metri, tanto è il valico stradale che congiunge l’Italia con la Francia, meta di migranti che tentano anche la via della montagna pur di andare oltre il nostro confine. Il promotore della «veille solidaire», presidente dell’Associazione dei rifugi dell’Isère, ha dato appuntamento al Colle della Scala a chi intendeva «accogliere dei migranti se ce ne sono, accompagnarli a valle ma anche discutere dell’argomento e farne parlare i media». Perché, spiega Frédi Meignan, «quando si interviene in montagna, non si chiede a nessuno che si aiuta se ha un conto in banca, non si tiene in considerazione il colore della pelle, ancor meno la sua religione». Anche di qua dal confine, sul versante italiano, si danno da fare, volontari della Croce Rossa e del Soccorso Alpino, accogliendo, offrendo bevande e un ricovero caldo, cercando di non lasciare migranti dispersi nella neve. Un pugno di italiani, la notte di capodanno, si sono ricongiunti ai francesi in questa fratellanza di montagna.

Come gli abitanti di Lampedusa, che da anni si confrontano con un mare di morti e di sopravvissuti, molti aiutano – è umano, dicono – senza farsi troppe domande, senza «voltare la testa dall’altra parte» come ha detto il dottor Pietro Bartolo, il medico lampedusano che da un quarto di secolo soccorre chi, sopravvivendo al mare, sbarca sull’isola.

«Io sono molto pragmatico: se tutti questi migranti passano, ci saranno delle ragioni. Non è perché siamo di fronte a delle questioni complesse di sviluppo economico, di geopolitica e di flussi migratori, in breve a problemi difficili da gestire a monte come a valle, che li si deve lasciare crepare al Colle della Scala, e ciò nessuno potrà spiegarmi che è normale», ha detto Frédi. Ecco un leader, e non c’è bisogno d’altro. 

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