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SETTIMO TORINESE. “Noi, operai della Embraco”

SETTIMO TORINESE. “Noi, operai della Embraco”
Ci sono anche sei settimesi coinvolti nella triste vicenda della Embraco, azienda brasiliana con un orgoglio “made in Italy” che rischia di migrare in Slovacchia. Embraco fa parte del gruppo Whirpool, una multinazionale molto famosa nel mondo per gli elettrodomestici. L’azienda nel corso della sua lunga storia ha dato lavoro e stipendi a centinaia di famiglie, e non era raro trovare tra le linee produttive parenti stretti come fratelli, zii e cugini. Non mancavano i premi, le tredicesime, le feste di Natale, i regali ai bambini. Era un paese, non soltanto una fabbrica. Una grande famiglia. Un luogo in cui nascevano compressori per frigoriferi, meccanismi assemblati con talmente tanta passione e professionalità da attirare la curiosità e lo sguardo attento degli stranieri, spesso in visita a Riva di Chieri per cercare di carpire i segreti produttivi e portarli in Cina o in Brasile. Per bollare la cartolina all’uscita, tutti i giorni c’era una lunga coda di lavoratori gratificati da un’azienda forte a livello mondiale ed in grado di traghettare ancora tanti dipendenti verso la pensione. C’era una confortevole mensa interna, adesso invece la sala viene aperta per dare la possibilità agli operai di consumare il pasto da casa. Oggi, è tutto diverso. Anche la storia di Sergio Roggio, 53 anni, è legata a filo doppio alla Embraco di Riva di Chieri: sua moglie Annamaria lavora lì, anche se lei è impegnata nelle linee di assemblaggio e lui lavora nella squadra antincendio e primo soccorso. Sergio lavora alla Embraco da oltre trent’anni. Il suo ruolo gli impone di dover presidiare i reparti e gli edifici dell’azienda anche durante le feste. “Per 18 anni ho lavorato nelle linee di montaggio, poi tredici anni fa mi hanno chiesto di entrare nella squadra antincendio e primo soccorso – racconta Sergio Roggio - . Avevo svolto il servizio di leva nei vigili del fuoco e sarei rimasto volentieri lì, ma non era possibile farlo. Conosco quello stabilimento alla perfezione, tutti i reparti, il perimetro esterno ed interno. Mi avevano chiesto di sostituire un collega che era andato in pensione e io avevo accettato con piacere”. Un classico passaggio di consegne, un’esperienza che va a riposo ed un’altra che continua a sorvegliare. “Siamo ancora tutti impegnati fino al 25 marzo, poi dovrebbero partire le lettere – racconta il settimese - . Abbiamo tutti più o meno la stessa età, non ci sono giovanissimi. L’ultima infornata di assunzioni è datata 1998. Hanno tutti dai 40 anni in su. Alla nostra età, è difficile ricollocarsi”. Dal 2004 è cominciato il giro della cassa integrazione e dei sostegni sociali da parte di Regione e Stato, ma non è bastato per convincere l’azienda a mantenere il cuore in Italia. Sono rimasti 537 lavoratori: 497 sono stati dichiarati esuberi e 40 restano dentro, per quanto ancora non si sa. L’azienda ha deciso di trasferire la produzione in Slovacchia, a Spisca, negli stabilimenti avviati proprio dagli “amici” italiani in grado di garantire la qualità: i grossi clienti, si sa, apprezzano il “made in Italy”. E intanto Sergio Roggio e i suoi colleghi continueranno ad andare a lavorare a Riva di Chieri, con la speranza di un futuro al lavoro.
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